Lotto quotidianamente per parlare con qualcuno.
Passo metà del tempo ad ascoltare professori, politici, genitori, giornalisti, vecchi che parlano.
Si lamentano in continuazione, ricordano tempi in cui tutto era migliore. Ci mettono in guardia verso questo nuovo tempo, questo nuovo mondo.
Ma io non ho più voglia di ascoltare, tutto va bene perché ho vent'anni e non può succedermi nulla, giusto?
Adesso parlo.
Ma i manganelli vengono alzati contro i manifestanti;
ma la polizia controlla le nostre strade;
ma i governanti strumentalizzano i nostri valori;
ma non riesco più a capire cos'è la verità, la verità per me, la verità comune?
Io parlo ma non ho nulla di originale da dire.
Non ha più senso farlo.
Mi sento ingabbiata, dipendente dalla socialità, da una continua prova di meritarmi la Parola.
Qualcuno chiede: “quali sono i tuoi sogni?” una domanda così distante dalla realtà, quanta confusione nel mio futuro, un'insoddisfazione costante.
Vivo in attesa, aspetto di finire gli studi, di mettere da parte dei soldi, di conoscere le persone giuste, vivo la proiezione di me stessa. Ogni cosa che faccio mi sento in errore, una grande partita a scacchi di cui non conosci le regole e osservi le mosse di chi gioca da più tempo di te.
Forse non ho più niente da dire o forse l'obiettivo è proprio non farci dire più nulla?
Io credo nella creatività della mia generazione, degli esseri umani, perché ancora ci ostiniamo a omologarci?
Mi vergogno a non pensare in modo diverso, a conoscere le stesse canzoni, a usare gli stessi meme, a parlare nello stesso modo.
Siamo dei pappagalli, qualcosa di vero e di nostro lo riusciamo a fare? Andiamo a lezione solo per imparare a citare gli autori a memoria o per produrre qualcosa di nuovo? L'esperimento, la rottura riusciremo mai a non farla rientrare nel sistema stesso?
Chi sa fare le cose le faccia, chi non le sa fare ci provi comunque.
Appassionatevi,
Domandetevi,
Rompete
le
r
i
g
h
e
Autore
Eleonora Urbanetto