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Come al solito sono in ritardo.
“Al cinema ultimamente ci andiamo solo correndo” mi canzona una mia amica. Col fiatone facciamo il biglietto ed entriamo nella sala già buia. A tentoni troviamo il primo posto libero e ci sediamo, avvolte da quel silenzio sacrale che solo prima di un film puoi sentire. La velocità del mondo rimane fuori dalla sala, il tempo si ferma per due ore.
Inizia il film.
Fin dall’inizio mi passano davanti agli occhi immagini di un uomo tanto importante, quanto umano nelle sue abitudini. Entro in una quotidianità e un’intimità non diversa da quella che avrebbe potuto avere mio nonno o un mio parente vissuto nel 1973. La sua ginnastica mattutina, la sua scrittura quotidiana, le confidenze con la moglie, il dialogo con i figli: il primo scontro ideologico lo aveva a colazione prima di recarsi a lavoro.
Mi rendo conto che c’è una protagonista, che accompagna il personaggio di Berlinguer -magistralmente interpretato da Elio Germano – la Parola.
Tutta l’attività politica si fonda sulla parola e difatti il film si costruisce su un dialogo costante.
Dialogo che si manifesta nelle trattative e nella mediazione con i potenti del mondo, rivendicando la parola “democrazia” pure su suolo URSS, rischiando di essere vittima di un attentato.
«Non si può essere sempre sicuri e sereni che la democrazia comunque regga» dice Umberto Terracini, preoccupato per l’Italia che, con gli attentati negli anni 70, viene scossa dall’interno. E io questa frase la riporto a oggi, nel 2025, a distanza di 50 anni, viviamo in un’Italia che sta venendo minata nelle sue libertà fondamentali, la democrazia è un sistema imperfetto e complesso, tuteliamola, poniamo attenzione ai suoi segnali di cedimento e partecipiamo per opporci alla sua caduta. «La democrazia esiste finché il demos e la polis se ne occupano» dice Elio Germano in una sua intervista.
Il dialogo poi emerge nelle assemblee di partito, durante le riunioni che duravano ore: unità e collaborazione erano l’obiettivo politico principale, dove la parola “libertà” rimaneva l’orizzonte comune della sinistra, «la promozione di tutte le libertà dell’individuo, tranne quella di sfruttare altri esseri umani, dal momento che quest’ultima distrugge e rende vane tutte le altre».
La parola come formazione nelle case del popolo, nei circoli ARCI, nelle case delle donne, di uno spirito politico accessibile da ogni classe. La genialità da parte del regista Andrea Segre di unire immagini d’archivio e immagini di finzione, ha dato la possibilità di ascoltare le voci di alcuni operai chiamati a esprimere una propria opinione sul referendum abrogativo del divorzio del 1974. Da questa intervista reale, emergono degli individui che, pur sbagliando la lingua, hanno sviluppato una coscienza politica tale da rispondere all’intervista con argomentazioni e controproposte valide. La manifestazione della potenzialità dei corpi intermedi.
Oggi questi corpi intermedi, l’anello che collega i votanti ai votati, sono deboli, sono elementi fondamentali che affiancano le istituzioni ma non riescono più a dialogare con le masse. Quella fascia di popolazione che oggi compone la manovalanza più sfruttata spesso è composta dai cosiddetti “immigrati”, persone che si sono spostate dal loro paese natale per trovare un migliore condizione di vita e hanno iniziato a lavorare. Queste persone non hanno un appoggio per sviluppare la propria formazione e coscienza di classe.
E allora mi ricollego al titolo del film: Berlinguer, la grande ambizione.
«Può esistere politica, cioè storia in atto, senza ambizione? […] La grande ambizione, oltre che necessaria per la lotta, non è neanche spregevole moralmente, tutt’altro: tutto sta nel vedere se l’«ambizioso» si eleva dopo aver fatto il deserto intorno a sé, o se il suo elevarsi è condizionato [consapevolmente] dall’elevarsi di tutto uno strato sociale e se l’ambizioso vede appunto la propria elevazione come elemento dell’elevazione generale.
Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni (de proprio particulare) contro la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo).»
La preziosa riflessione di Antonio Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere è ciò su cui il film invita a riflettere. Tutti noi abbiamo piccole ambizioni e dovremmo riabituarci ad avere grandi ambizioni. La piccola ambizione è egoistica, genera infelicità e cattiva competizione; la grande ambizione è una direzione collettiva, un senso che dai alla tua vita, un segno che lasci a qualcuno: questo genera felicità.
La politica oggi si è dimenticata della grande ambizione, è concentrata sull’accrescimento del proprio partito, lasciando indietro il bene comune. I sopracitati corpi intermedi non riescono più a riunire la comunità, siamo sempre più separati.
Invito voi quindi a trovare la vostra grande ambizione, essere curiosi, informarvi, trovare i vostri spazi; invito la politica a porsi in ascolto, in dialogo per il benessere collettivo.
Autore
Eleonora Urbanetto