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CHIAVE N. 3
Una parola per spaccare la terra
e cadere nell’abisso
S’è aperta sotto i nostri piedi una voragine infinita. Ci costringe ad aggrapparci a forza di dita: le unghie saltano e i palmi diventano rossi. Si scende in un’oscurità sempre più densa di orrori e miserie, dove voci malvagie urlano profezie insulse e terribili; le emettono corpi fatti di zanne e artigli, creature violente e presuntuose evolutesi per uccidere l’umanità nelle persone.
Allora scendiamo, allucinati, folli di dolore e ambizione, per raggiungerli e ucciderli.
“Li trovo. Ancora… ancora più a fondo. Giù. Giù. Sono là. Li trovo. Li stermino. Non saranno loro a mettermi fine, non mi avranno mai.”
Ma l’abisso, come ci rivela l’antico etimo greco del termine, è letteralmente “senza fondo”. Esplorarlo ci porterà nelle tenebre più remote, senza una vera destinazione. Dunque, perché ostinarsi a sprofondare, a spingersi ogni volta più in basso? Chi sta sulla terra, in superficie e alla luce del sole, vive anche meglio; nel peggiore dei casi, vive comunque. Cosa spera di ottenere colui che scava?
Cinicamente, potrebbe non essere altro che nevrosi, mitizzazione, smania di primeggiare. Senza dubbio una persona può alimentare la propria vanità mostrandosi ribelle e avventurosa, ma l’ideale sarebbe fingere soltanto di cercare una verità sepolta. Non credo infatti che la fatica e la solitudine che tale lavoro comporta corrispondano davvero a d un aumento di prestigio. Al contrario, solitamente non si attira altro che diffidenza o disprezzo. Un simile investimento a perdere porta ad affondare nel ridicolo: le persone risponderanno di non avere tempo né desiderio di ascoltare i piagnucolii di un disadattato. Purtroppo, molti dei discorsi che vorrebbero scuoterci non sono che questo; o peggio, strategie di mercato o estorsione. Davvero la gente ha abbastanza guai anche solo vivendo come può.
Tuttavia, è diffusa la coscienza della necessità di un cambiamento. Quindi lasciamo perdere le lamentele millenaristiche: la fine è sempre sembrata vicina, ma non è arrivata e nemmeno noi la vedremo. Rivediamo anzi la lezione di Chuck Palahniuk: ci provocò sostenendo che fosse necessario “toccare il fondo” per risorgere e creare qualcosa di nuovo. Memori di ciò, rispettiamo chi si separa dalla fiumana per tentare di grattare via i detriti che incrostano il mondo.
Se però, come ora sappiamo, il fondo non c’è, la cosa giusta sarà scrutare dentro l’abisso disvelato e portare testimonianza ai nostri simili degli orrori di cui saremo diventati consapevoli. Contro ogni voluptas dolendi - il patetico crogiolarsi nella sofferenza - torneremo nella massa, per evitare che il prossimo cada nell’abisso che ognuno porta dentro, un buco di meschinità e cattiveria.
Gettarsi nel buio eterno è un suicidio insensato, e la risposta alle nostre domande non sta nella speranza di un fondo da raggiungere e di un nemico che lì ci aspetta, ma nella natura stessa dell’abisso stesso. Il mondo può sempre peggiorare: la mano umana, più abile a distruggere che a costruire, non è in grado di salvarlo.
Cosa faremo?
Qualcuno deciderà di lottare contro guerre e malattie, morte e indifferenza, contro i mostri dell’anima.
Altri preferiranno restare neutrali, cercheranno vie alternative o si staccheranno dalla realtà.
Ma quanti seguiranno il moto discendente, professandosi figli dell’oscurità e dell’abisso?
CHIAVE N. 4
Sotto chiave, nelle nostre profondità,
c’è un demone
Esiste un demonio fatto di dolente rassegnazione, patetico vittimismo, immobilità, compiaciuta malvagità.
Prima sussurra, poi grida, tace, parla sommesso. Ha miliardi di voci sovrapposte e il corpo di noi tutti, conosce ogni cellula che conteniamo, le sinapsi nei nostri cervelli, le scosse elettriche che le attraversano. Legge tranquillamente i nostri pensieri attraverso quelle minuscole scariche di corrente ed energia e neurotrasmettitori. Vuole il pieno possesso di noi, è un parassita famelico che non si preoccupa della sopravvivenza dell’ospite, la morte del quale coincide col suo pieno sviluppo.
Ognuna di queste morti è un piccolo trionfo dei demoni e del male. Ma, come il male è figlio dell’astrazione umana, anche i nostri aguzzini sono direttamente creati da noi. Li vogliamo dentro per assolverci e rinunciare a realizzare quel che potremmo.
Perché? Perché la vita non chiede che il prolungamento di se stessa, condito al più da piaceri semplici e traguardi voluti dalle convenzioni sociali. Si può vivere anche così, e i demoni ce lo ricordano continuamente. Basta lasciar passare il tempo.
Ora strappo la voce al mio demone e la uso per ricordare a noi tutti che siamo deboli e corrotti.
L’umana debolezza è un male orrendo dal quale non cerchiamo di sottrarci. Ci siamo voluti corrompere, abbandonarci. Senza forza per opporci alla corrente del male, firmiamo la nostra condanna eterna.
Nel mese di aprile, il 25° giorno, ricordiamo la Resistenza della nostra gente contro un nemico spaventoso.
La resistenza è ciò che rende forte l’umanità. La capacità di ripetere ogni giorno la propria lotta, la stessa fatica. Anche se oggi è comune ignorare dei genitori, cerco di ricordare quel che mi disse mio padre: “La forza di un uomo è arrivare ogni giorno alla fine del suo lavoro.”
Così hanno ragionato millenni di generazioni dimenticate che quotidianamente si sono dannate per produrre e riprodurre: nei campi, nelle case, nelle fabbriche, costoro hanno vissuto resistendo. Genti maledette dalla culla alla tomba.
Tuttavia hanno resistito, e noi che raccogliamo e sprechiamo allegramente i frutti della loro morte abbiamo perso la capacità di lottare. Contro cosa sapremmo resistere, noi deboli, noi ipnotizzati e viziati dalla pace?
Non sono un modello da imitare, che questo sia ben chiaro. Non ho idea di cosa possa salvare il mondo; anzi, come chiunque altro so perfettamente cosa potrebbe distruggerlo.
Io avrò effetti limitati e non offro nulla di concreto. Ho in realtà una richiesta.
Siete liberi di rigettare ogni mia parola. Non pretendo che ammiriate me o i miei meriti, veri o presunti: in verità io vi chiedo di non commettere i miei stessi errori. La mia eredità è un monito.
Ho temuto chi poteva aiutarmi. Ho evitato responsabilità e progetti a lungo termine. Mi sono tenuto al riparo dalle relazioni troppo profonde per avere tempo da dissipare in solitudine. La mia voce finirà per perdersi, assorbita da una vita normale.
Abbiate il coraggio di creare, di realizzare opere dal magma, dall’ombra, dall’argilla che portate dentro prima che il tempo raffreddi in voi ogni moto.
Abbiate forza: sarà necessaria, se non volete essere divorati dal mondo e desiderate che qualche briciola di voi sopravviva.
I valorosi si salveranno.
Autore
Giovanni Raffaldi