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Quanto la nostra visibilità
può essere fondamentale?
Durante i suoi studi sul Liber legum realitatis, un apprendista stregone iniziò a ragionare sull’effettiva concretezza di ciò che si definisce “esistenza”. Scoprì come fosse essenzialmente legata a fattori vaghi e mutevoli come l’autocoscienza, oppure a sistemi percettivi lontani dall’onniscienza diabolica. Nei casi documentati di sviluppo di nuovi sensi o di apertura del Terzo e del Quarto Occhio, chi si era elevato in tal modo aveva subito scoperto come un differente sguardo sul mondo potesse letteralmente piegarlo al proprio volere.
Continuò a leggere, e rimase molto colpito dal vedere descritta l’esistenza come un frutto dell’interazione tra esseri senzienti. Venendo a mancare la percezione reciproca, si sprofondava nell’indeterminato, e anche per la comune mente umana diventavano concepibili l’ubiquità e la sparizione.
Il novello mago si fermò a pensare.
“Arrivati a quel punto, spostarsi dal piano mentale a quello fisico è molto semplice.”
Allora prese una decisione.
Riempì col proprio sangue una siringa e la svuotò in un calamaio, mescolandoci carbone ricavato da ossa di demone bruciate. Il miscuglio ribollì, formando un inchiostro untuoso che si muoveva debolmente nella terracotta.
Sfogliò il Liber arrivando all’ultima sezione: nient’altro che decine di pagine vuote. Intinse la penna e scrisse:
Ubicumque est quis
non videtur
Sic in realitate
ego moveo
Bevve l’inchiostro avanzato e pregò profondamente. La scritta divenne rossa; sentì caldo e provò una sorta di vertigine.
Da quel momento acquisì il dono del teletrasporto. La libertà che sentiva di aver conquistato era incredibile, così come all’improvviso non poteva credere a quanto le altre persone fossero limitate, intrappolate com’erano in un solo orizzonte. Il suo unico ostacolo: lo sguardo altrui. Quando si trovava nel campo visivo di qualcun altro non riusciva più a scomparire, perché, venendo percepito, la sua presenza si fissava in un punto preciso.
Presto, però, diventò dipendente dal suo potere. Aveva abbandonato gli studi e vagava senza meta come allucinato, rubando e commettendo violenze con cieca fiducia nella propria imprendibilità. Più volte venne scoperto, una volta persino fermato: si salvò poiché i poliziotti, chiudendolo nel cellulare, per alcuni secondi lo isolarono dalla vista di tutti.
Ricomparve nella sua stanza, ammanettato e col fiato grosso. Avrebbe potuto facilmente forzare le manette o ridurle in polvere… ma nel panico non era riuscito a ricordare la formula.
Crollò a sedere ed ebbe un momento di lucidità. Si era esposto come un idiota e presto la comunità dei maghi lo avrebbe punito: in quell’ambiente non erano rare le esecuzioni sommarie, punizione per aver costretto i più esperti a lavorare duramente per cancellare ogni traccia del misfatto.
Improvvisamente si sentì vuoto, inconsistente, e capì che, sparendo dalla vita degli altri, era diventato meno reale. Cos’era la vita che gli era rimasta?
Si affacciò in lui il desiderio di tornare vero, di essere visto. Ma non voleva, non voleva rinunciare al potere che aveva guadagnato.
Tuttavia, presto gli Anziani sarebbero risaliti a lui, e allora avrebbero potuto ucciderlo anche tramite un’incursione mentale. Inoltre, non era così potente da annullare le modifiche alla realtà senza causare strappi, e bevendo l’inchiostro si era legato al libro. Se avesse cancellato la scritta o distrutto la pagina, avrebbe fatto a pezzi i propri poteri e la propria mente. Nella sua presunzione, aveva usato un metodo così drastico per amplificarsi. Ce n’erano altri, più sofisticati e flessibili, ma non li conosceva bene.
Restava una sola cosa da fare.
Preparò altro inchiostro, aprì il Liber alla pagina dove aveva scritto la formula e aggiunse:
ad nihil
Bevve di nuovo, aspettando che facesse effetto, e sparì un’ultima volta dissolvendosi in una morte indolore.
Autore
Giovanni Raffaldi