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La Vuelta a España 2025, la prima con partenza dall’Italia, si è conclusa Domenica 7 a Madrid. O meglio, alle porte di Madrid. In una corsa spesso monocorde, non sono mancati spunti di riflessione che ci porteremo dietro a lungo. Qui abbiamo provato a riassumermene alcuni. 1. Le proteste ProPal contro la Israel Premier-Tech, ma non solo Grande costante di questa Vuelta - almeno per le diciassette tappe corse interamente in territorio spagnolo -, le proteste ProPal sono state per lunghi tratti la cosa che più si è fatta notare, tra arrivi improvvisati, tappe accorciate e cerimonie di premiazione annullate. Evidente come l’obiettivo primario dei manifestanti fosse la Israel-Premier Tech (IPT), oggi gestita da Sylvan Adams, da tempo molto vicino a Benjamin Netanyahu e auto-proclamato ambasciatore di Israele nel mondo. Benché da tempo relegata alla serie B del ciclismo globale, la IPT in questi ultimi anni ha sempre ottenuto il diritto a partecipare a corse di livello WorldTour (la serie A) grazie ai suoi risultati. Non era dunque certo la prima volta che la IPT si trovava su un grande palcoscenico dal 7 ottobre 2023 e dall’inizio dell’assedio nella Striscia di Gaza. Al Giro d’Italia prima e al Tour de France poi, c’erano stati sì timidi tentativi di protesta, spesso fermati - talvolta anche con violenza - dalla polizia italiana e dalla gendarmeria francese. A farsi notare erano state per lo più le bandiere, benché in entrambi i casi televisioni e organizzatori avessero fatto di tutto per nascondere ogni forma di solidarietà alla causa palestinese. Niente di paragonabile, insomma, con quanto successo nel corso di questa Vuelta, dove le proteste hanno raggiunto una portata tale da segnare secondo molti una svolta nei rapporti tra Israele e l’Europa sportiva. Benché la IPT sia riuscita a concludere questa Vuelta, appare sempre più evidente come l’obiettivo di portare nel mondo un’immagine positiva di Israele attraverso il ciclismo si stia ritorcendo contro i suoi stessi promotori: a risaltare, a questa Vuelta, sono stati per lo più gli orrori di Israele nella Striscia di Gaza.
ph: Sky Sport
1. Il sesto posto di Giulio Pellizzari In chiave italiana, notevole soprattutto la Vuelta di Giulio Pellizzari che, dopo il sesto posto al Giro d’Italia, si ripete con un altro piazzamento di rilievo in classifica generale. Qualcosa di non così comune per un giovane di 21 anni, tanto più se si considera che in entrambi i casi Pellizzari è partito con compiti di gregariato, ora a favore di Primoz Rogliç, ora di Jay Hindley. Per avere un’idea della dimensione del risultato, basti considerare che l’ultimo italiano a riuscire a centrare una doppia top ten nello stesso anno fu Vincenzo Nibali nel 2017, terzo al Giro e secondo alla Vuelta. A stupire è soprattutto la gestione della corsa del marchigiano, spesso in grado di rimanere nel gruppo dei migliori anche dopo aver lavorato per il proprio capitano. Proprio questa sua capacità, unita a un’ottima lettura tattica della corsa di tutta la sua squadra, la Red Bull Bora-hansgrohe, ha permesso a Pellizzari di ottenere la prima vittoria tra i professionisti nel corso della diciassettesima tappa. Il giovane marchigiano è stato abile a sfruttare una situazione di immobilismo tra i big della generale, con uno scatto secco che gli ha permesso di anticipare tutti sulla durissima salita finale dell’Alto de El Morredero. La maglia bianca di miglior giovane che si fa strada fra i boschi bruciati dagli incendi che quest’estate hanno colpito Galizia e Castiglia León, è senza dubbio tra le immagini di questa Vuelta.
Ph. @La Vuelta / X Maglia bianca che soltanto Matthew Riccitello è stato in grado di sfilare al giovane italiano, nel corso dell’ultima salita della ventesima tappa, il difficilissimo Puerto de Navacerrada – Bola del Mundo i cui ultimi 3km superano il 12% di pendenza media. In difficoltà già dai -7km, Pellizzari è stato comunque molto intelligente nella gestione delle (poche) energie rimaste, riuscendo a limitare i danni e a conservare la sesta piazza finale. Insomma, ci sono tutti i presupposti perché - dopo anni di magra - l’Italia torni ad avere un corridore da classifica generale di primissima fascia. 1. La sorpresa Thomas Pidcock Nonostante qualche difficoltà per un forte raffreddore tra la seconda e la terza settimana, Jonas Vingegaard è riuscito a rispettare i favori del pronostico, vincendo la Vuelta 2025. Già due volte vincitore del Tour de France, il danese è apparso sempre in controllo della corsa, pur senza mai entusiasmare il pubblico, ormai abituato a un ciclismo coraggioso e aggressivo. Rispetta i pronostici anche il secondo posto di João Almeida, che ancora paga la scarsa propensione ai cambi di ritmo. Gli evidenti miglioramenti in salita, hanno comunque permesso ad Almeida di battere Vingegaard su una delle salite più dure di questa Vuelta, l’Alto de l’Angliru. Ben più sorprendente è il terzo posto di Thomas Pidcock, in grado di superare l’australiano Jai Hindley, già vincitore del Giro 2022 e sulla carta favorito per il podio di Madrid. Alla sesta partecipazione in un grande giro, Pidcock ha così ottenuto il suo miglior risultato di sempre in classifica generale, migliorando un anonimo tredicesimo posto al Tour de France 2023. Spesso criticato per la scelta di puntare alla generale invece di dedicarsi alle vittorie di tappa - specialità cui, va detto, il britannico si presta di tanto in tanto con successo -, Pidcock ha dimostrato in questa Vuelta una costanza di prestazione finora sconosciuta, riuscendo a rimanere sempre a ridosso dei primi due della generale. Manca, certo, una vittoria di tappa, cui pure il britannico è andato molto vicino nel corso dell’undicesima tappa quando, dopo aver staccato tutti - Vingegaard incluso, l’unica occasione in questa Vuelta - sull’Alto de Pike, si è dovuto rialzare nella discesa verso Bilbao, a causa della neutralizzazione della corsa decisa dall’organizzazione per evitare le proteste a poche centinaia di metri dalla linea d’arrivo.
Ph. Dario Belingheri/POOL/SCA
Autore
Filippo Pelacci