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C’è un’immagine che vale più di mille commenti: Lewis Hamilton che raccoglie da terra i frammenti dell’ala anteriore della sua SF-25. Proprio lui che, secondo molti, è stato chiamato a Maranello come restauratore del mito Ferrari, uomo di metodo, innovazione, risultati e crescita, ridotto a ricomporre i pezzi di una macchina spezzata.

È una stoccata simbolica e dolorosa per un sette volte Campione del Mondo, al centro delle polemiche dopo una stagione che non è certo all’altezza di chi per anni ha dominato e schiacciato la concorrenza.
Eppure, fare di Hamilton il capro espiatorio è un errore grossolano. Pretendere che un solo uomo risolva problemi che da vent’anni logorano Maranello significa non capire davvero l’essenza di questo sport.
Guardando ai numeri è inevitabile dire che Hamilton non sta portando i risultati attesi. Ma questi strizzano l’occhio anche all’unico successo, seppur “minore”, della Ferrari nel 2025, che porta il suo nome, anche se si tratta soltanto di una Sprint. È vero, non è più il pilota dominante di un tempo, ma sarebbe ingeneroso fermarsi a questa superficie. La verità è che questa è una delle stagioni peggiori della storia recente del Cavallino. I piloti guidano ciò che hanno tra le mani, e Hamilton ha potuto incidere poco o nulla sul progetto di una monoposto che era già definita quando lui è entrato ufficialmente in squadra a fine gennaio.
A tutto questo si aggiungono gli upgrade inefficaci, una macchina senza punti di forza evidenti e una pressione mediatica che mai come quest’anno grava sugli uomini in rosso. Non è difficile capire che non è tutto oro ciò che luccica.

In pista Hamilton è sottotono, questo è evidente: non ha mai trovato il feeling con la monoposto, inadatta al suo stile. Il periodo di adattamento è stato difficile e il divario dal compagno di squadra – una cinquantina di punti – sembra ampio, ma non irreversibile. È piuttosto la testimonianza di una Ferrari impreparata, fragile, sbagliata nelle fondamenta.
Dunque forse sta proprio qui la chiave di lettura del disastro Rosso; credere che sia un uomo a dover restaurare un’azienda intera, credere che sia un sette volte Campione del Mondo a dover tenere in piedi la baracca. Il restauro serve, eccome. Ma serve ai vertici, nelle profondità del Cavallino. E servirà anche il miglior Lewis Hamilton, quello che oggi fatica a emergere ma che non ha ancora scritto l’ultima parola della sua storia in rosso.

Autore
@Giuseppe Serra