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Con la prova in linea maschile di domenica 29 settembre, si sono conclusi i Mondiali di ciclismo di Kigali, i primi a essere ospitati da un paese africano. Di questi Mondiali, alla vigilia e ancora durante tutta la settimana di gare, si è parlato anche e soprattutto per ragioni politiche; e questo, va detto, non è necessariamente un male, anzi. In forte crescita dopo il terribile genocidio del 1994, il Ruanda rimane comunque uno dei paesi più poveri al mondo, con un PIL pro capite inferiore ai mille euro (per avere un metro di paragone, quello dell’Italia è intorno ai trentotto mila). A guidare il paese, ininterrottamente dal 2003, è Paul Kagame, che negli anni ha dato vita a un sistema di governo sempre più autoritario e repressivo. Le ultime elezioni del 2024, vinte con percentuali altissime dallo stesso Kagame, non sono state né libere né democratiche.
A tutto ciò si aggiunge il sostegno concreto e più volte documentato che il governo di Kagame fornisce da tempo alle milizie del gruppo armato M23. Dal 2012 l’M23 è infatti impegnato in operazioni di guerriglia a intensità via via crescente nella zona nordorientale della Repubblica Democratica del Congo. Un conflitto solo formalmente concluso dall’accordo di pace mediato dagli Stati Uniti di Donald Trump e che dimostra come le ferite del genocidio del ’94 non siano ancora sanate. Tra le ragioni delle interferenze del Ruanda nei confronti della RDC vi è infatti anche la volontà da parte del governo tutsi di reprimere gli hutu, fuggiti dal paese dopo la fine del genocidio. Ma evidente è anche la finalità economica: tra le città di Goma e Bakavu, conquistate dall’M23 nel febbraio di quest’anno, si trovano infatti alcune importanti miniere di coltan, fondamentale per la produzione di dispositivi elettronici.
La scelta di organizzare i Mondiali del 2025 è stata letta da molti come un evidente tentativo di sportwashing. Pratica che, del resto, il Ruanda ha esteso ben oltre i confini del ciclismo: alcune tra le migliori squadre europee da tempo esibiscono la scritta “Visit Rwanda”. Al di là di questo, il ciclismo ruandese (e con lui quello africano) è - e da tempo - un movimento in grande crescita. Un dato confermato da questa settimana di Mondiali, che ha visto una eccezionale partecipazione di pubblico. Nel corso di tutta la settimana, le diverse prove sono state infatti accompagnate da migliaia di persone in festa.
Ph. @UCIRWANDA / X ©️
Dal punto di vista tecnico, quello di Kigali è stato - a detta di molti - uno dei mondiali più duri di sempre. “Il paese delle mille colline” ha infatti permesso agli organizzatori di disegnare un percorso molto esigente, sia per le prove in linea che per le cronometro, tra côtes e mûr i cui nomi ricordano la dura dominazione belga tra il 1922 e il 1962.
La rassegna iridata è stata inaugurata dalla prova a cronometro maschile, vinta da Remco Evenpoel, che è stato in grado di raggiungere e staccare Tadej Pogaçar, partito due minuti e trenta secondi prima. Una vittoria da favorito, che ha ricordato a tutti cosa Evenpoel sia in grado di fare a cronometro e che ha stupito soprattutto per i distacchi inflitti ai diretti rivali: secondo, a 1:14 (un’enormità, in poco più di 40 chilometro), Jai Vine; terzo Ilan Van Wilder a 2:36; e quarto, a 2:37, il ciclista più forte al mondo, Tadej Pogaçar.
Notevole, specie in chiave azzurra, la prova in linea under 23, coronata dal successo di Lorenzo Mark Finn, che è andato a rimpinguare un medagliere che già poteva contare sul bronzo di Federica Venturelli nella cronometro under 23 e sull’argento di Chantal Pegolo nella corsa in linea, categoria juniores. Finn ha saputo sfruttare al meglio il lavoro del Belgio e le difficoltà degli altri due favoriti di giornata, il belga Jarno Widar e lo sloveno Jakob Omrzel. Più giovane al via, con i suoi 18 anni e spiccioli, l’italiano ha così completato un back-to-back che fino ad ora, nella storia del ciclismo, era riuscito solo a Matej Mohoric tra 2012 e 2013. L’oro di Kigali di quest’anno si va infatti ad aggiungere - e la cosa non è certo irrilevante - a quello vinto lo scorso anno a Zurigo, nella categoria juniores. Finn ha attaccato una prima volta a oltre 40 chilometri dall’arrivo sul pavé della Côte de Kimihurura, riuscendo a selezionare via via un gruppetto di sei corridori e dimostrando una gestione della corsa davvero invidiabile per l’età. Divenuto improvvisamente il favorito, Finn ha corso con grande intelligenza, senza lasciarsi innervosire dalla scarsa collaborazione dei compagni all’attacco. A 6 chilometri dal traguardo, lungo la Côte de Kigali Golf, ha poi piazzato l’attacco decisivo, staccando lo svizzero Jan Huber e assicurandosi la seconda maglia iridata consecutiva. L’attesa del nuovo grande ciclista italiano potrebbe finire da un momento all’altro.
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La corsa in linea femminile è stata invece caratterizzata da grande attendismo, con la stretta marcatura tra le principali favorite della vigilia: Elisa Longo Borghini, Demi Vollering, Marlen Reusser e Kim Le Court Pienaar, solo per citarne alcune. Ad approfittarne è stata così a sorpresa la canadese Magdeleine Vallieres, che ha battuto in uno sprint ristretto le compagne d’attacco - la neozelandese Namh Fisher-Black e la spagnola Mavì Garcia - conquistando il secondo successo in carriera da professionista
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Non ha deluso le attese nemmeno la prova in linea maschile, vinta - ancora una volta - da Tadej Pogaçar, che completa così un back-to-back con attacchi da lontano, inaugurato a 94 chilometri dal traguardo di Zurigo 2024. Vivace fin dal mattino, la corsa è esplosa a oltre 100 chilometri dall’arrivo, sulle durissime rampe del Mont Kigali, quando Pogaçar ha attaccato, portandosi dietro solo il messicano Isaac Del Toro e lo spagnolo Juan Ayuso. Ayuso prima e Del Toro poi sono però rimasti vittima dello strapotere dello sloveno, che ha 66 chilometri dall’arrivo è rimasto solo al comando. Alle spalle di Pogaçar, il peso dell’inseguimento è gravato sulle spalle del Belgio e del suo leader, Remco Evenepoel, vittima di una serie di incidenti meccanici e del nervosismo che ce ne ha fatto ammirare le indiscusse doti calcistiche, seconde solo alle sua abilità con la biciletta: la coordinazione nel calciare la bottiglietta è degna di un gol dai venti metri. Dopo aver perso parecchio tempo per un cambio di bicicletta non impeccabile, Evenepoel è stato comunque in grado di rientrare sul gruppetto degli inseguitori, garantendosi così il secondo posto a oltre un minuto e venti secondi dallo sloveno. Terzo, a oltre due minuti, l’irlandese Ben Healy.
Anche in questo caso, la corsa si è rivelata durissima, complici il caldo e l’umidità. Bastino un paio di numeri. Dei 165 partenti, solo 30 corridori sono arrivati al traguardo. Il quinto, il lettone Tom Skujins, ha concluso la gara a oltre sei minuti dal vincitore, anticipando Giulio Ciccone, sesto al traguardo e primo degli italiani. Con questa vittoria, Tadej Pogaçar ha così aggiunto un ulteriore record a una carriera già straordinaria, diventando il primo ciclista in grado di vincere almeno una Classica Monumento (le cinque corse di un giorno più importanti del calendario), un Grande Giro (cioè uno tra Giro d’Italia, Tour de France e Vuelta a España) e il Mondiale, nel corso della stessa stagione e per due anni consecutivi.
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Autore
Filippo Pelacci