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Nella fredda mattina un timido sole sfiora la terra coperta di brina e va a toccare le imposte chiuse che proteggono dal gelo una giovane coppia. È stata la loro prima volta insieme. Dormono ancora, abbracciati. Nelle coperte trattengono un calore che il ghiaccio vorrebbe mangiare, ma insieme continuano ad alimentarlo. La stanza dove finalmente si sono incontrati deve poter rimanere una tiepida culla, con la dignità di un sacrario. La notte precedente sembrava aver mostrato i denti per dissuaderli. Erano entrati in casa, inanimata e silenziosa come la volevano, e in quel momento l’avevano trovata tetra, Troppe ombre e resti sparpagliati del passaggio altrui, in un disordine ostile. Lì nel buio si sentivano respinti e indifesi, nient’altro che due animaletti. Rea aveva cercato a tentoni un interruttore; l’aveva trovato seguendo i cavi che correvano sul muro, racchiusi nella guaina di plastica. Clic. La luce dell’ingresso era bianca e asettica. Faceva proprio freddo. Rea si era costretta a non rabbrividire. Léon era cupo e ingessato, si muoveva a malapena. Alzando solo gli occhi, aveva portato lo sguardo verso le scale, con Rea che lo imitava. Sapevano di desiderarsi, ma fino a quel giorno si erano accontentati dell’immaginazione, di rari baci, di appuntamenti casti e ingenui, da amici. Ora erano paralizzati: per salire i gradini sarebbero serviti molti passi, che loro temevano di fare. "Léon?” “...?” Non gli era uscita la voce. "Allora… ci proviamo…?” Aveva gli occhi lucidi. "Siamo qui per questo… no? "Entrambi o nessuno. S’erano mossi, col rossore che li divorava. Léon avrebbe voluto voltarsi a guardarla, ma aveva tirato dritto. (Oh, Cristo, cristo, sto scoppiando scoppio e adesso cosa faccio, cosa devo fare brucio mi sento male oddio). A Rea oscillava lo sguardo, da Léon ai propri piedi. (Sta per succedere, succede davvero, ma per favore fa’ che non provi vergogna, solo questo ti prego, non voglio non voglio provare vergogna). Dopo alcuni minuti, entravano in camera. Erano consapevoli di essere soli, ma comunque avevano chiuso la porta dietro di sé, perché la porta aperta sapeva di pericolo, come una bocca nera in attesa di inghiottire. S’erano seduti sul materasso, che cigolava per lo sforzo di sostenere il peso inusuale di due corpi. Quello svolto da un uomo e una donna quando cercano di avvicinarsi è un rito senza tempo. Loro però non lo sapevano, oppure non potevano ricordarlo. L’unica certezza era il desiderio che provavano nel mezzo di troppi umori confusi. Un piccolo movimento. Le mani. Labbra che hanno un fremito invisibile. Léon aveva stretto piano le dita di Rea, sentiva le sue nocche come una breve fila di perle. Finalmente si erano guardati negli occhi. Un contatto difficile. Poi si erano abbandonati uno contro l’altra, unendo le spalle e i petti, e i muscoli delle loro schiene si erano rilassati, capendo di non avere più bisogno di stare rigidi e guardinghi. Solo allora si erano accorti di quanta angoscia li opprimesse. “Aiutami. Sorreggimi. Sostienimi, Non lasciarmi cadere.” Si sussurravano preghiere attraverso la carne. Léon aveva adagiato il viso nei ricci di Rea, facendole sentire il profumo appuntito dei capelli induriti col gel. Fissandola nei suoi occhi caldi, aveva notato una piccola cicatrice che le fendeva un sopracciglio. La chioma così folta la nascondeva, aveva pensato, poi s’era maledetto per essersi subito rifugiato in una scusa. La testa di lei, intanto, si affollava di domande senza risposta, raccolte sotto il segno del suo dubbio. Provava una paura antica, la paura delle giovani donne che mandano al mondo richieste mute d’amore. Con un bacio si erano lentamente distesi, facendo aderire i corpi dalle labbra alla vita. Léon si stringeva alla ragazza con braccia e mani, le affondava la faccia nel collo quasi con aggressività. Sentiva le ossa tirargli la pelle, attraversate da violente scariche di freddo e caldo. "Io non sono così. "Ma anche Rea aveva fame, lo artigliava come se desiderasse il sangue. Quell’appetito la spaventava, era invasivo e cannibalico. Non capiva cosa potesse essere quella voglia di assorbire Léon; cercava solo di smettere di pensare per non sporcare il suo amore con dei pensieri grotteschi. Ma ecco che tornavano con malevola insistenza a farla sentire cattiva, indegna. "Lui capirebbe? "La notte era andata via mentre loro esploravano i propri corpi ancora piccoli e deboli. Una luce ormai entrava attraverso uno spiraglio nelle persiane, accarezzandoli senza svegliarli. Lui era dinoccolato, senza una forma definita. Anche nel sonno, le mani gli tremavano come ragni nervosi, riflesso dei suoi sogni in eterno disordine. Lei era raggomitolata in un involto di capelli, lenzuola e arti esili. Respirava senza rumore e le costole le tracciavano sottili ombre sotto il seno. Un altro giorno era iniziato e li avrebbe costretti a combatterlo: si sarebbero alzati per lottare insieme, ma dopo aver sognato ancora un po’. Solo un altro po’…
Autore
Giovanni Raffaldi