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Vorrei gettare via la chiave
di quei giorni andati all’inferno
“Com’è andata oggi?” “Mah… Male.”
“Perché? Cos’è successo?” “Niente, assolutamente niente.”
Il nulla di quei giorni in cui non si fa altro che sopravvivere. Non è terribile che un numero enorme delle ore che compongono la nostra vita sia occupato da attività di routine e passatempi? Alla creatività tocca scavarsi minuscole nicchie, dove essa a malapena resiste, come una candela sotto vetro alla quale un bimbo si diverte a dare e togliere aria.
Minaccia di schiacciarla il tempo, quel tempo immane, pesante, col suo carico di noia, abitudine e rinuncia.
Non vi pare di vederlo? Sono certo che anche voi abbiate conosciuto quell’entità pachidermica, gonfia delle energie che dovrebbero spettarci di diritto.
Guardatelo. Il tempo, quel maiale, ci deride. Si prende gioco del nostro affannoso desiderio di costruire e resistergli.
E l’inferno è un deserto di cenere freddo e sterile: le scorie del fuoco che una volta aveva illuminato le anime delle persone. Ciò che una volta in esse si agitava, ringhiava e mormorava ora s’è spento, lasciando posto a buio e silenzio. Un luogo dove il cuore, per usare le parole di Alessandro D’Avenia, “è sicuro, ma freddo”.
Quegli individui, ormai vuoti, continuano a camminare sulla terra come creature del male. Del male che è comune nella realtà concreta di questo mondo: uno strisciante e misero, che niente ha di glorioso e risiede in corpi che sono involucri rammolliti dal vizio