Sembra si debba parlare di utopia in questo ultimo mensile. Utopia intesa come sogno, volo pindarico, elevazione intellettuale, sociale, politica. Utopia delle idee, delle speranze, dei futuri possibili: quelli vicini e lontani, quelli prossimi all’alba del domani o al tramonto di questo ultimo (buio) secolo… ditemi, forse, è di qualche “non luogo” che si deve parlare?
Sfilano i carri armati alle porte del medio oriente e là, nell’est freddo e dimenticato dell’Europa, si scambiano sguardi con l’Orso Rosso i giovani “Azov della resistenza”. Restano i fiocchi di cenere a incorniciare il cielo e noi, impetuosi, discutiamo di Utopie.
Quante parole sono state scritte su questo giornale per difendere il diritto di sognare ancora? Tante che sembra quasi questa Utopia sia fatta di carta appallottolata e non si possa evincerne niente, se non dopo averla sistemata appena; se non dopo, così come si suol dire, averla risistemata un poco, stesa sotto un libro grosso, resa meno accartocciata.
Ho passeggiato imbracciando i miei libri di filosofia nel chiostro dell’università, durante quel periodo dove la censura stava diventando opprimente e noi direttori, presi dal tormento che dilania ogni uomo giusto (fare o non fare), giocavamo con le parole e con la storia della nostra città. Discutevamo con le associazioni giovanili, gremite di grandi manipolatori, e vivevamo il nostro sogno: incidere il presente con la biro, farlo sanguinare. Ho capito in quel periodo che tutto è politica: che in ogni ambiente si subiscono abusi, minacce e ingiurie. Ho capito la falsità degli adulti nel dirti “credo in voi” e dimenticarsi addirittura il nostro nome. Ho capito la falsità di certi miei coetanei pronti a fingere amicizia per perseguire i propri scopi. Ho capito che alla vita bisogna dare scacchi di scoperta.
Sono arrivate le immagini dei primi bombardamenti in Iran, delle stese a tappeto su Gaza, degli influencer Russi che ridevano a due passi dagli incendi in Ucraina. Noi camminavamo per km tra un punto e l’altro di Parma accendendo i nostri smartphone, inoltrandoci i video della Guerra, sentendo sotto la terra il rumore delle bombe; l’Europa che guardava austera, fredda come l’indifferenza. Il periodo delle interviste, degli eventi, degli spettacoli, dei podcast, delle regionali alle quali votare PD mentre difendeva le armi ha fatto male.
Sono passati gli autobus in ritardo tutto l’anno e nelle lunghe attese ho pensato profondamente a questo mondo, che è l’unico che ho. Non sono riuscito a capire, effettivamente, come mai questi meccanismi siano così insiti nella natura umana: cosa spinga un uomo a togliere la vita ad un altro uomo, un politico a lasciare morire bambini in mare, un giovane a parlare su Omegle e ridere del genocidio Palestinese. Mi sono interrogato a fondo sul male che abita nel cuore delle persone e ho smesso, per un po’ di tempo, di scrivere, conscio del fatto che esistano momenti per farlo e momenti per riflettere. Sono giunto alla conclusione che la mia utopia, in fondo, non preveda macchine volanti o rivelazioni esistenziali, la vita eterna o il Santo Gral. Mi accontenterei di volgere lo sguardo ad un pianeta dove l’umanità non si fa tanto per fare.
Scacco di scoperta con cavallo, puntiamo ad un matto alla vita.
Autore
Antonio Mainolfi