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È il quinto consecutivo, e non era mai successo. Ma non è l’unica cosa che si sia fatta notare in questo suo 2025.
Tadej Pogačar ha vinto, ancora, il Giro di Lombardia. Con questo successo sono quindi cinque i successi consecutivi dello sloveno, il primo nella storia del ciclismo a inanellare un simile back-to-back in una qualunque delle cinque “classiche monumento”. Ancora una volta, Pogačar ha dimostrato una superiorità disarmante, attaccando a circa metà salita del Passo di Ganda e raggiungendo in pochi chilometri Quinn Simmons, reduce della fuga di giornata, poi quarto al traguardo di Bergamo. Simmons, con oltre duecento chilometri all’attacco, ha sì provato a resistere per alcune centinaia di metri, salvo poi arrendersi allo sloveno, che negli ultimi chilometri di salita ha potuto così ampliare il suo vantaggio sui rivali diretti, guidati ancora una volta da Remco Evenepoel. Con questo successo, Pogačar completa così l’ennesima stagione straordinaria, la migliore stando a quanto lui stesso ha dichiarato a caldo sul traguardo: «Sono sette stagioni di fila che dico che questa è la migliore stagione della mia carriera finora. Posso dirlo ancora una volta».
Ph. @Il Lombardia / X ©️
Già per la stagione 2024 si era parlato di un’annata sostanzialmente irripetibile, con le vittorie del Giro d’Italia (e sei tappe), del Tour de France (con altre sei tappe) e dei Mondiali. Un trittico che, nella storia, era riuscito solo a Eddy Merckx (1970, 1972, 1974) e Stephan Roche (1987) e che ha spinto molti a riproporre un paragone che per decenni era sembrato ai limiti della blasfemia: ma non è che questo sia più forte anche di Merckx? Per dare un’idea, nel 2024 delle dodici corse cui ha preso parte, Pogačar ne ha vinte nove. Nel 2025 il tabellino segna undici vittorie in diciassette gare.
Notevole è però anche il modo con cui Pogačar si è costruito alcune di queste vittorie. Sostanzialmente inarrivabile su qualunque salita che superi i quattro o cinque chilometri, Pogačar si è da tempo specializzato in una serie di azioni che fino a qualche tempo fa avremmo definito d’altri tempi. Attacchi da lontano, lontanissimo, che per altro non sarebbero nemmeno necessari per un corridore che, come il campione sloveno, difficilmente esce battuto da uno sprint ristretto. Dalla vittoria alle Strade Bianche del 2024, con 81 (ottantuno) chilometri di fuga solitaria, qualcosa è cambiato nella testa di Pogačar che, quando il percorso lo consente, sembra ora essersi fissato obiettivi fuori scala per tutti gli altri: vincere sì, ma seguendo la più difficile tra le molte strade che potrebbero portarlo ad alzare le braccia al cielo. Così i Mondiali di Zurigo 2024, con l’attacco ai meno 94. E di nuovo la Strade Bianche 2025, con un altro attacco a lunghissima gittata. E così anche le quattro vittorie di questo autunno difficilmente ripetibile: tra i Mondiali di Kigali, gli Europei, la Tre Valli Varesine e il Giro di Lombardia, Pogaçar ha messo insieme qualcosa come 195 (centonovantacinque) chilometri in solitaria.
Se questo dato non vi ha stupito abbastanza, eccone un altro: in queste stesse quattro corse, ha inflitto al primo del resto del mondo (sempre Remco Evenepoel, tranne alla Tre Valli Varesine, dove secondo è arrivato Albert Philipsens) quasi cinque minuti. Un’enormità. In molte corse, Pogačar sta al ciclismo come Mondo Duplantis sta al salto con l’asta: la sfida sembra cioè non essere con gli avversari, ma con sé stessi, con il (proprio) record del mondo da battere o l’attacco da piazzare sempre più lontano, sempre meno a sorpresa, ma sempre con eguale efficacia.
A stupire non sono solo i numeri, ma anche la varietà dei successi campione sloveno. Un dato rende bene l’idea. Con la vittoria di Bergamo, Pogaçar è diventato il primo corridore della storia a salire sul podio a tutte e cinque le “classiche monumento” (ci torniamo), nella stessa stagione. La cosa eccezionale è che si tratta di corse molto diverse tra loro, che solitamente vedono vincere corridori con caratteristiche opposte.
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Provo a dare un’idea. La Milano-Sanremo, la prima delle “monumento”, presenta un percorso sostanzialmente piatto, almeno per un ciclista professionista, con alcune lievi asperità (i capi della costa del ponente ligure) solo nel finale. Roba che i corridori sono costretti a frenare in curva tanto la velocità è sostenuta. Non a caso, a vincere sono per lo più velocisti in grado di reggere su strappi brevi. Eppure, tra 2024 e 2025, Pogačar è salito due volte sul podio (sempre terzo), attaccando prima sul Poggio e poi - cosa già di per sé storica - sulla Cipressa, penultima salita in programma.
Il Giro delle Fiandre (secondo in ordine di tempo nella stagione) si corre invece sulle côtes fiamminghe, caratterizzate da un pavé particolarmente accidentato e sconnesso. Benché Pogačar l’abbia già vinto due volte, fino ad anche solo pochi anni fa sembrava impensabile il successo di un corridore con le sue caratteristiche.
Simile al Fiandre, ma senza salite è invece la Parigi-Roubaix, che attraversa alcuni tratti in pavé che hanno fatto la storia di questo sport. A vincere, al velodromo di Roubaix, sono solitamente i più forti passisti al mondo, non certo gente che compete nelle grandi corse a tappe. Si tratta per altro di una corsa estremamente pericolosa, dove una sola disattenzione può compromettere il resto della stagione. E ad aprile è una cosa che il più forte ciclista al mondo non sempre si può permettere. Eppure, il campione sloveno è stato secondo solo a Matthieu Van Der Poel, dopo una gara sempre all’attacco in cui una scivolata a trentotto chilometri dal traguardo gli ha impedito un duello diretto con il neerlandese.
Apparentemente più nelle corde dello sloveno sia le brevi ma ripide côtes della Liegi-Bastogne-Liegi, sia le lunghe salite del Giro di Lombardia, ultima delle “monumento”. E non è certo un caso che siano queste le due classiche in cui Pogačar ha ottenuto il maggior numero di successi: tre alla Liegi (’21, ’24 e ’25) e, appunto, cinque al Lombardia (dal ’21 al ’25). Un fatto che rende ancor più eccezionali i podi nelle altre tre Monumento, difficilmente conciliabili - o almeno così si pensava fino a qualche tempo fa - per un ciclista che, tra le altre cose, vince anche corse a tappe.
Va detto anche detto che almeno negli ultimi anni nei successi di Pogačar un ruolo non indifferente lo ha avuto la sua squadra - oggi UAE Team Emirates-XRG - che in questa stagione ha già superato il record di vittorie della Columbia HTC nel 2009: 94 successi (e il conteggio è ancora in corso) contro 85. Insomma, oggettivamente la squadra più forte della storia del ciclismo. Certo, le capacità economiche degli emiratini (il budget annuale si aggira intorno ai 55 milioni di euro, qualcosa di impensabile nel ciclismo di anche solo pochi anni fa) contribuiscono in maniera significativa alla serie incredibile di successi della UAE. E però, è stato lo stesso Pogačar ad avere un ruolo fondamentale nella crescita del team.
Dopo aver rilevato la licenza WorldTour (la serie a del ciclismo globale) dall’italiana Lampre-Merida nel 2017, la UAE ha attraversato alcune stagioni non proprio brillanti. Tra il 2017 e il 2019, solo 58 vittorie, di cui poche di rilievo: due tappe al Giro d’Italia (2017 e 2019), due al Tour de France (2018) e tre alla Vuelta (2019). E queste ultime sono arrivate proprio grazie a Pogačar, già fortissimo alla sua prima stagione tra i professionisti. Per il resto, poca cosa.
Il punto di svolta nella storia del team emiratino ha una data e un luogo ben precisi: 19 settembre 2020, La Planche des Belles Filles, dove si conclude la cronometro della ventesima (e penultima) tappa del Tour de France, spostato in autunno per ragioni pandemiche. Tadej Pogaçar - sì, sempre lui - parte per penultimo dalla rampa di Lure, in quanto secondo in classifica, separato da 57 secondi dal connazionale Primož Roglič: un vantaggio che in definitiva sembra garantire un certo agio a Roglič. Quanto accadde quel giorno, è però ormai storia. Mentre Roglič si accartoccia sulle durissime rampe della salita conclusiva, Pogačar prende il volo. Al traguardo, le posizioni sono così invertite: primo Pogačar, secondo a 59 secondi Roglič. Da quel momento, la UAE attraversa una crescita che va di pari passo a quella del campione sloveno: 32 vittorie nel 2021, 48 nel 2022, 57 nel 2023 e 81 nel 2024.
Pur con qualche fragorosa sconfitta (in gran parte legata al biennio di vittorie di Jonas Vingegaard al Tour de France, tra 2022 e 2023), si può dire che da almeno un paio di anni a questa parte nell’universo del ciclismo Pogačar abbia assunto via via una posizione sempre più centrale, un sole attorno al quale - a seconda delle stagioni e delle latitudini - ruotano di volta in volta pianeti diversi, solo raramente capaci di metterlo in difficoltà: Matthieu Van Der Poel per le classiche non troppo esigenti dal punto di vista altimetrico, Jonas Vingegaard per le corse a tappe, Remco Evenepoel per le gare di un giorno più dure. Un dominio che, specie negli ultimi mesi, è stato visto da molti come televisivamente poco attrattivo. E del resto, almeno nelle ultime gare di questa stagione, la domanda non era attaccherà Pogačar? ma piuttosto dove attaccherà Pogačar?
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Detto che discorsi simili si facevano - appunto - anche per Merckx, dietro a simili insofferenze, sembra però annidarsi anche altro. Sconvolto nel tempo da scandali legati a pratiche dopanti, il mondo del ciclismo è ancora incapace di guardare e commentare con serenità quanto accade sulla strada. Come ha sottolineato il giornalista britannico Daniel Friebe su X, il trattamento (anche mediatico) riservato a Pogačar e ai suoi successi è molto diverso da quello con cui vengono accolte le imprese di Mondo Duplantis. Una differenza che nasconde gli spettri di un passato che, comprensibilmente, il pubblico ciclistico fatica a dimenticare. «Ma noioso e sospetto sono due cose differenti», ricorda Friebe. E del resto, come ha sottolineato Giovanni Battistuzzi sul Foglio, la noia sembra confinata ai social (ma che quelli siano diventati posti non sempre raccomandabili è cosa nota) e a chi, per professione, vorrebbe sempre nuove storie da raccontare: i media. La gente corsa sulle strade di Bergamo alta - tanta, tantissima - sembrava pensarla diversamente. Tanta altra lo attende già per la prossima stagione, quando gli obiettivi di Pogačar sembrano chiari. Conquistare le due “monumento” che ancora gli mancano e che meno si addicono alle sue caratteristiche (è, sì, proprio qui è il bello), Milano-Sanremo e Pairgi-Roubaix. E dunque, senza chiudere gli occhi da un lato e senza farci oscurare la vista dai sospetti dall’altro, godiamoci questo campione d’altri tempi. Magari, dal ciglio di una strada affollata di persone in festa o in cima a un muretto che riecheggia il vocio meccanico di pignoni e deragliatori.
Autore
Filippo Pelacci
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