Alle 10:25 del 2 agosto 1980, la sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna fu devastata da un’esplosione. Una valigia piena di tritolo, nitroglicerina e Compound B fece 85 morti e oltre 200 feriti. È ancora oggi il più grave attentato terroristico nella storia della Repubblica Italiana, come scrisse Eugenio Scalfari un «massacro indiscriminato che non ha altro obiettivo fuorché quello di destabilizzare la struttura civile del paese, esasperare gli animi, gettare nella confusione gli apparati dello Stato, diffondere disperazione e frustrazione..». La strage fu un atto terroristico neofascista «portava il timbro tipico dell’attentato nero», parte della più ampia strategia della tensione: un disegno eversivo volto a destabilizzare le istituzioni democratiche, gettando il Paese nel caos per aprire la strada a svolte autoritarie. Le sentenze definitive hanno riconosciuto la responsabilità dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) gruppo terroristico di estrema destra attivo in Italia tra il 1977 e il 1981. Furono condannati all’ergastolo Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e, più recentemente, Gilberto Cavallini (2020). Ma non si fermarono lì le indagini. Dopo anni di depistaggi e silenzi, tra il 2022 e il 2025 la giustizia italiana ha colpito i mandanti. La Cassazione, nel luglio 2025, ha confermato l’ergastolo per Paolo Bellini, ex militante di Avanguardia Nazionale, individuato come colui che piazzò materialmente la bomba. Accanto a lui emergono figure che hanno agito nell’ombra, dietro le quinte del potere: Licio Gelli, Federigo Umberto D’Amato, e Mario Tedeschi. Licio Gelli, maestro venerabile della loggia massonica deviata Propaganda 2 (P2), fu uno degli uomini più influenti e oscuri della storia repubblicana. La P2 non era solo una rete massonica: era un vero e proprio centro di potere occulto, composto da alti ufficiali dell’esercito, politici come Berlusconi, magistrati, imprenditori, giornalisti, vertici dei servizi segreti e personaggi dello spettacolo come Maurizio Costanzo. Nel "Piano di rinascita democratica" scritto da Gelli, si auspicava apertamente la trasformazione autoritaria dello Stato, tramite il controllo dei media, della magistratura e dei sindacati. In questo disegno, il clima di paura prodotto dagli attentati era funzionale a proporre uno "Stato forte" come unica risposta possibile al caos. Gelli fu più volte indagato per depistaggi e finanziamenti occulti a gruppi neofascisti. Nel contesto della strage di Bologna, secondo le ultime sentenze, ebbe un ruolo di raccordo tra ambienti eversivi, massoneria e apparati deviati dello Stato. La sua figura si sovrappone perfettamente a quella del “burattinaio”: non agiva direttamente, ma muoveva fili decisivi. Al fianco di Gelli, la sentenza ha indicato Mario Tedeschi, senatore del Movimento Sociale Italiano (MSI) e direttore dello storico settimanale neofascista Il Borghese. Tedeschi, oltre al suo ruolo politico, aveva rapporti con i servizi segreti e un ruolo attivo nel fornire copertura e legittimazione ideologica a gruppi violenti come i Nar. Il MSI, erede diretto del fascismo, non fu dichiarato responsabile in quanto partito, ma la storia del suo coinvolgimento ideologico, culturale e relazionale con ambienti eversivi è ormai documentata. Gli attentatori erano spesso cresciuti in quel brodo di cultura, tra nostalgia del regime, culto della violenza e anticomunismo radicale. Oggi le istituzioni non si nascondono più dietro parole vaghe. Il Ministero dell’Interno, nel 2024, ha parlato di “strage neofascista” e ha ribadito il dovere di “dire la verità senza infingimenti”. La Regione Emilia‑Romagna ha digitalizzato gli atti giudiziari, rendendoli accessibili al pubblico. Il Comune di Bologna, ogni anno, promuove iniziative pubbliche, cortei e commemorazioni. Alle 10:25 in punto, il triplice fischio del locomotore segna il momento esatto dell’esplosione. Quella del 2 agosto non è solo una data da ricordare, ma una ferita aperta e un impegno civile. Il Concorso di Composizione Internazionale “2 Agosto”, organizzato dall’associazione dei familiari delle vittime con l’alto patronato del Presidente della Repubblica, trasforma il dolore in musica, suonata ogni anno in piazza Maggiore. A 45 anni di distanza, c’è ancora chi prova a riscrivere la storia, a offuscarne la matrice politica, a ridurre tutto a una generica tragedia. Ma la giustizia ha parlato. Le carte processuali parlano. I familiari parlano. La strage di Bologna fu fascista. Questo non è più un giudizio politico: è una verità processuale. In un Paese in cui la verità è spesso insabbiata, la memoria della stazione di Bologna è un atto di resistenza. Un monito per tutti: perché nessun potere possa più pensare di manipolare la democrazia con il sangue dei civili.
“Ricordare è un dovere, ma capire è un diritto.” — Associazione familiari delle vittime del 2 agosto 1980
Autore
Alessandro Mainolfi