Certe storie ci colpiscono per la ricchezza dei loro dettagli. Personalmente mi hanno sempre stupito gli aneddoti di quando mio padre da giovane ascoltava musica, dal posto in cui acquistava i dischi, all’impianto nuovo, fino a cosa faceva mentre “andava” una certa band. Tutto questo finì per suscitarmi una sorta di invidia, anch’io avrei desiderato ricordi simili. Poi comprai un giradischi e compresi tutto. Capii che ad ogni disco potevo associare una piccola storia, imparai a distinguere le parti dell’impianto e a prendermene cura. Prima dell’ascolto, una quantità significativa di fatti lo aveva preceduto: un odore, un sorriso, un commento. Allora cominciai a pensare a tutto quello che avevo perso col digitale e iniziai ad aver paura. Eppure Calvino ci aveva avvertiti: in una celebre intervista, per salvarci dall’inconsistenza, egli consigliava di imparare poesie a memoria e svolgere calcoli a mano. Che ci si stia affidando troppo alla tecnologia è opinione condivisa, ed è quindi bene, forse, ricordarsi qualche volta che la fatica e la cura possono restituirci l’esistenza. Tornare alla materia, ridare consistenza alla vita, questa credo sia una delle sfide a cui chiamerei le nuove generazioni. Anche un giornale cartaceo può servire (perché no). Un tentativo non nuoce. Così magari un giorno anch’io avrò la possibilità di raccontare qualcosa in più e significativo, come di quella volta che (sapessi…) prima di leggere una certa notizia straordinaria, mi ero svegliato presto, avevo fatto una buona colazione di cui ricordo (pensa te!) ancora la dolcezza, e avevo incontrato in edicola quell’amico, che non vedevo da tanto tempo, per poi tornare a casa, seduto, davanti al fuoco”.
Autore
Emanuele Poli