Scorrendo Instagram senza sapere cosa fare, come capita molto spesso ahimè, mi sono imbattuta in un articolo di Repubblica. “Ritrovato il corpo di Denisa Maria Adas, la donna di 30 anni scomparsa da tre settimane a Prato. A ucciderla Vasile Frumuzache, 32 anni, che ha confessato il femminicidio.”
La cosa non mi era completamente nuova, avevo già visto un simile titolo altre volte, e non riesco a sorvolare sulla normalità che ormai diamo a questo genere di informazioni, alla normalità con cui praticamente ogni giorno assimiliamo la notizia di una nuova donna uccisa, o veniamo bombardati da particolari macabri sulla vicenda e sulla loro vita privata.
Ma questa volta sono rimasta colpita da altre cose. Per prima, la parola “femminicidio” vista scritta nel titolo di un articolo di giornale. Perché per una volta, finalmente, un titolo è scritto raccontando davvero quello che è successo, senza romanticizzazioni e senza porre colpe sulla vittima. Perché il problema finalmente sta arrivando a tutti. Perché la narrazione deve cambiare e le cose devono essere messe in chiaro. Perché negli ultimi 10 giorni, sono stati tanti altri i femminicidi in Italia: Fernanda Di Nuzzo, Martina Carbonaro, Valisica Potincu, Daniela Strazzullo. Perché dopo 30 anni si riapre un altro caso, quello di Emanuela Murgia, classificato come suicidio e ora riaperto e ripensato come omicidio volontario da parte dell’allora ex fidanzato. Perché di molti di questi FEMMINICIDI non si parla o, se si parla, la narrazione è ancora quella sbagliata e morbosa. Perché si ha paura della parola “femminicidio”. È una parola che pone un problema, una parola che fa aprire gli occhi davanti a una realtà folle. Le persone trattano questo problema come se non fosse un fenomeno diffuso in tutto il mondo. Mondo in cui, in misure diverse, le donne sono sistematicamente oppresse, e solamente in quanto donne. Dal gap salariale alla violenza domestica, passando per il cat calling, i licenziamenti in bianco, gli stereotipi, i pregiudizi, fino ad arrivare al femminicidio. Le denunce non credute, gli aiuti che mancano, le stesse forze dell’ordine che dovrebbero proteggere e invece si ritrovano, quando effettivamente vogliono aiutare, con le mani legate: “Finché non le mette le mani addosso non posso aiutarla”. Ma la realtà è un’altra: finché non diventiamo un numero nei terrificanti dati di quante donne sono vittime di femminicidio ogni anno, lo Stato chiude gli occhi.
E nell’ultimo recentissimo episodio di Denisa Maria Adas, la cosa è ancora più grave, perché ad uccidere la donna è stata una guardia giurata, che non solo ha confessato questo omicidio, ma ha ammesso, durante le perquisizioni, di aver ucciso un’altra donna, Ana Maria Andrei, assassinata un anno fa. Una guardia giurata che ha confessato il femminicidio di due donne. Una persona che avrebbe dovuto proteggere la comunità, e si è rivelata l’ennesimo carnefice. Una persona di cui ci dovrebbe fidare per mantenere l’ordine pubblico e che invece ha agito per interessi personali. Per fermare la donna che avrebbe minacciato l’assassino di rivelare alla moglie della loro frequentazione. E questa narrazione viene riportata nei titoli di molte testate giornalistiche: “Mi ricattava e l’ho uccisa”, questo si legge aprendo Google e cercando i dettagli della notizia. Perché alla fine, allora, una giustificazione c’era. Alla fine, allora, non si tratta di un femminicidio, ma di un omicidio attuato puramente per fermare la vittima dal rivelare quelle informazioni. Non è stata uccisa in quanto donna, no? Solamente in quanto in possesso di informazioni compromettenti. Ma la realtà non è questa, si sa che questa è solo l’ennesima prova dell’idea di molti uomini di poter controllare il corpo e la vita delle donne che circondano la loro quotidianità.
Ogni giorno sentiamo di un’altra donna. Ogni giorno sentiamo di ragazzi sempre più giovani che si accaniscono sulle loro amiche, sorelle, fidanzate o ex fidanzate e tutto questo è un problema sempre più grande! Il machismo dilagante, la continua esposizione a fatti del genere (per carità, che non si smetta mai di parlarne), il meccanismo del branco che si attiva in molti di uomini e che li porta a cercare la loro approvazione in qualsiasi modo. Tutti questi sono seri e gravissimi problemi di cui si parla ancora troppo poco.
Non si può continuare così, non si può e siamo stufe!
Autore
Elena Camuti Borani