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C’è una parola che è sempre accompagnata al mese di aprile e che in questo periodo non riesco a togliermi dalla testa. Il termine in questione rimbalza tra un pensiero e l’altro in tutte le sue declinazioni: ho sentito parlare di “resistenza elettrica” (anche se non so assolutamente cosa sia, né voglio cercare di spiegarlo); un tempo avevo una discreta “resistenza” nella corsa (cosa che - ahimè - non ho più); la Resistenza in maiuscolo, poi, è la sacrosanta lotta contro le forze nazifasciste (oggi ancora così necessaria, ma la questione sarebbe troppo lunga da affrontare…). L’elenco potrebbe continuare: ho scoperto che c’è una “resistenza” in psicoanalisi, una “resistenza batterica”… Infiniti tipi di resistenze adatti a qualsiasi cosa, animale o persona.
Non servo certo io a spiegare che questa parola ha origini latine: “re” (prefisso che indica il movimento contrario ad una forza, in sintesi il nostro “indietro”) e “sisto” (verbo intensivo con significato di “far stare” o “fermarsi”). Ho appena passato un esame di Latino, quindi perdonerete la breve parentesi. Dunque la resistenza è un movimento che si oppone ad una forza contraria e così ottiene la sua stabilità. È qualcosa che si origina per contrastare qualcos'altro e nasce proprio nei luoghi più inospitali, cioè quelli che fin dall’inizio e per sempre gli remeranno contro. Si capisce che praticare questa “resistenza” è una gran fatica. A volte non si ha la forza necessaria per restare fermi e contrastare tutta la negatività che rema contro di noi. La fatica diventa troppa e sembra più facile lasciarsi trasportare dal buio e assecondare i brutti pensieri, le ansie, le paure. Credo che i venti siano per eccellenza “gli anni della resistenza” (come cantano i Coma_Cose, anche se forse loro si riferiscono ai trenta… Sarò io precoce?): sei catapultato nel mondo reale e devi costruire una vita - la tua vita - partendo da stralci di parole sbiadite riferite da altri. Devi imparare a distinguere le verità dalle menzogne, fare le cose giuste e non quelle sbagliate, inseguire i tuoi sogni ma rimanere con i piedi per terra. Io, sinceramente, non ci sto capendo niente: oscillo fra ciò che voglio e ciò che devo fare, mai soddisfatta. Ogni volta che mi sembra di intuire qualcosa, di possedere una certezza, ecco che questa fugge dalla mia presa e si sfalda tra le mie mani. È un movimento, una resistenza - appunto - estenuante, che mi fa sentire inerme. Le mie mani cercano di acciuffare più insegnamenti possibili, ma ogni sera ritornano a casa con i palmi vuoti. A volte preferisco lasciare andare, abbandonare tutto e precipitare: è più semplice credere che non ci sia niente da fare, che tutto sia impossibile, perché troppo grande e lontano dalla mia responsabilità. Mi lascio trasportare dalle forze contrarie e abbandono ogni tentativo di reagire. Così si fa tutto buio: nessun orizzonte, nessuna certezza, nessun sogno, solo buio. Ma è in quei momenti che qualcosa (o più spesso qualcuno) mi porge una mano o mi offre una piccola luce, quanto basta perché io abbia quel minimo di energia per alzarmi e ripartire. Allora leggere una poesia, strappare un bacio, vedere un film, parlare con un amico diventano il mio motore di resistenza (questi sono i miei strumenti, ma ognuno troverà i propri). È in questo momento, quando ricomincia la battaglia tra forze opposte, che mi rendo conto che la felicità e la tristezza non possono esistere se non in un eterno contrasto dell’una contro l’altra. Vivere significa essere tristi e felici insieme, ad insegnarmelo sono stati proprio i miei strumenti. Un po’ ingenuamente ho sempre creduto che, nella vita, l’importante fosse essere felice, raggiungere i propri obiettivi e trovare una persona con cui condividerli. Fine. Credevo che amare corrispondesse alla più pura e totale forma di felicità. Ho capito presto che non è così, ancora prima di farne esperienza: mi è bastato leggere una poesia, in particolare “Madonna dir vo voglio” di Giacomo da Lentini (caposcuola della poesia siciliana del XIII secolo, andiamo un po’ indietro…), in cui l’autore è innamorato perso di una donna che non lo ricambia e capisce che dentro al suo sentimento si oppongono due forze, la vita e la morte (“Dunque mor’e viv’eo?” ). Certo, la sofferenza in questo caso subentra per il rifiuto, ma chi ama o ha amato una persona sa che queste due forze conducono una continua battaglia anche e soprattutto in un amore ricambiato (non a caso “passione” deriva da “patior”, il verbo latino della sofferenza, ma ho finito di parlare di questa lingua, promesso). Amare significa soffrire e gioire con il proprio partner, celebrando i traguardi e affrontando le difficoltà. “Morire” e “vivere" sono entrambi necessari per poter fare esperienza di un amore vero.
Un altro poeta, molto più recente, diceva che si conosce il valore della vita solo quando si sfiora la morte. Lui scriveva poesie sulle cartoline di guerra, sulle cartucce della polvere da sparo, nella carta straccia che trovava per terra, rinchiuso in una stretta trincea. Lì, in quel luogo angusto, passando un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato, Ungaretti scriveva di non essere mai stato tanto attaccato alla vita. Nell’intera raccolta “Allegria di naufragi” (un ossimoro che spiega così chiaramente la resistenza di cui parlo) fa riferimento proprio a questo sentimento: attaccarsi alla vita perché si ha conosciuto la morte; anche in questo caso le due forze coesistono nell’opposizione. Nel medioevo si parlava di “Rota fortunae” (che poi se ne parla anche oggi): la vita degli uomini è per definizione incerta e in balia dell’imprevedibilità; chi oggi è potente - un re, per esempio - domani potrebbe cadere in miseria, così come chi oggi è felice, domani potrebbe diventare il più triste. Ancora una volta felicità e tristezza, vita e morte, si susseguono come montagne russe e noi non possiamo far altro che salire sulla giostra e divertirci.
Va bene restare nel buio per un po’, ma con la consapevolezza che poi si tornerà a vedere la luce; è giusto godersi la luce, ma ricordandosi della lezione appresa quando si era nel buio. Resistere significa continuare ad opporre queste due forze e così riuscire a restare in piedi.
Autore
Margherita Galeotti