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Un frammento di resistenza umana, testimonianza dal Ponte Nord
È domenica 23 marzo, piove. Le parole di Andrea Bui durante il presidio di ieri in Piazzale Corridoni contro il DDL 1660 mi risuonano in testa accompagnate dal ticchettio delle gocce d’acqua sul davanzale: quando non potremo più manifestare contro le ingiustizie, allora rimpiangeremo la nostra libertà perduta. Quella libertà che richiede un impegno quotidiano, la prima libertà da difendere in una democrazia.
Ricevo un messaggio da M, indiano del Kashmir incontrato ieri al presidio, mi dice che arriverà alle 11:30 sul ponte Nord.
Mi preparo ed esco.
Mentre la pioggia mi desta dal torpore della casa colpendomi il viso, penso a chi quel piacevole tepore di un’abitazione dignitosa che consola nei giorni più freddi, non lo può nemmeno immaginare.
Come M.
Penso ai compagni di Rete Diritti In Casa che si battono costantemente per gli ultimi, che scendono in strada per manifestare sempre, anche con la pioggia. Mi faccio coraggio. Pedalando passo davanti alla stazione e ricordo quando facevo servizio con il Pulmino Di Padre Lino dell’Assistenza Pubblica, che ancora oggi porta da mangiare ai senza fissa dimora.
Una realtà che prende il nome da Alpinolo Ildebrando Umberto Maupas, immigrato croato, che dedicò la sua vita agli ultimi, agli emarginati di Parma. Ritorno con la mente alle parole di Gabriele Balestrazzi che il 26 febbraio a Casa Nel Parco, descriveva il frate nel Libro Padre Lino, La Più bella Storia Parmigiana, citando la poesia di Renzo Pezzani:

Cosa penserebbe oggi di questa sua Parma, del modo in cui quotidianamente si denigrano quelle persone che lui amava e difendeva, vittime di una società ben più ricca di un tempo, succube della deriva capitalista, sempre più razzista e chiusa verso le categorie dei più fragili.
Pedalando verso il Ponte Nord ripercorro con la mente la rassegna D’Inchiostro, i libri presentati, gli incontri con gli autori, promotori di una cultura rigeneratrice, che illumina nuove vie con la luce della lungimiranza. Durante la presentazione dell’ultimo libro di Luca Giliberti, Boza, Diari dalla Frontiera, Vincenza Pellegrino, analizzando la chiusura delle frontiere africane per impedire alle persone di migrare, descriveva con tono rassegnato la corrente razzista dilagante tra la comunità internazionale Europea.
Comunità… Il 12 marzo Chiara Marchetti ci ha riportato l’esperienza virtuosa del Community Matching, con il suo libro Uno Più Uno Non Fa Due, in cui descrive bene cos’è la comunità e come crearla abbattendo i pregiudizi e costruendo legami.
Cos’è la comunità? È la cura che dedichiamo al nostro ecosistema, partendo dal rispetto e dalla cura verso le persone, soprattutto quelle più fragili, e poi verso l’ambiente, la natura, gli animali. La cura e l’attenzione che scaturiscono allenando la nostra sensibilità e il nostro rispetto verso ciò che esiste al di fuori di noi, diverso da noi, che dobbiamo imparare ad accogliere.
Arrivo sul ponte abbastanza bagnato, ma la temperatura è clemente oggi. Vedo M che mi aspetta con la giacca aperta e il cappuccio della felpa ben calcato sulla nuca.
Mi accoglie con un gran sorriso, mi stringe la mano e si dispiace per me, vedendomi zuppo d’acqua.
Penso a quanto poco ci vuole per essere gentili, per entrare in empatia con il prossimo, anche per piccole cose, tristi o felici, che ci restituiscono il senso della solidarietà, della vicinanza, della compagnia, della fratellanza, allontanandoci da quella solitudine in cui la società digitale e consumista ci vuole rinchiudere.
Lo ringrazio, e dopo alcune parole scambiate per conoscerci un po’ gli chiedo se gli va di raccontarmi la sua storia. M accetta di buon grado.
M è da 8 anni in italia, ha lasciato la sua famiglia in Kashmir, dove non poteva più vivere a causa di problematiche sociali, economiche e politiche.
Uno dei suoi figli è morto qualche anno fa in un incidente, lui era lontano e la famiglia non ha ricevuto alcun appoggio per affrontare questa perdita. Cambia discorso e prosegue.
M ha viaggiato per due anni, percorrendo il Pakistan, l’Iran, la Turchia, poi ha attraversato Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia ,Croazia ,Slovenia e Italia.
Due anni in cui ha lavorato, ha preso treni, attraversato frontiere, dormito di giorno per camminare non visto con il favore della notte, ha pagato sconosciuti per indicargli una via sicura, è stato picchiato dalla polizia di frontiera Croata, poi è arrivato a Trieste.
Dopo essersi spostato a Tabiano dove lavorava come lavapiatti si è trasferito a Parma, ha trovato un lavoro in cui lo hanno sfruttato senza pagarlo per qualche mese, lo ha lasciato e si è trovato senza casa, senza soldi, senza possibilità di riscatto.
Ora vive tra il Ponte Nord e altri due posti in edifici abbandonati.
Mi spiega che quando sul ponte tira una brutta aria, si sposta in un altro luogo, pieno di topi.
Se anche lì non riesce a dormire, ha una terza alternativa.
Dice che non si può vivere in questo modo, come gli animali, vorrebbe solo una casa, un lavoro e ricongiungersi alla sua famiglia.
Faccio qualche scatto al ponte, senza farmi vedere, per rispettare la privacy di chi, su quel passaggio di cemento, ferro e vetro, ha trovato un po’ di agio, lì dove il vento si incanala più freddo scendendo dalle montagne, lì dove la società ha fallito, dove nessuno poteva più andare. Lì, gli ultimi hanno trovato una casa.
Lasciamo il ponte e pedaliamo verso ovest, arriviamo davanti a un cancello alto due metri e mezzo, chiuso con una catena. M scavalca sicuro, abituato alle punte sulla sommità e all’instabilità della struttura che si muove pericolosamente avanti e indietro.
Gli passo la macchina fotografica e scavalco anche io, con qualche difficoltà in più.
Mi conduce in un capanno aperto, protetto dagli occhi della strada da un edificio abbandonato.
In un giaciglio rimediato su un materasso e qualche coperta logora dorme un suo amico.
Poco più in la vedo un’ombra muoversi tra alcuni mattoni rotti: è un topo, mi rassicura M, mi spiega che ce ne sono molti li. Dopo poco mi fa cenno di andare, non vuole svegliare il compagno che dorme.
Ripartiamo in bici verso sud, raggiungiamo un altro luogo che mi descrive come più tranquillo.
Nel sottoscala di un edificio abbandonato, c’è un entrata coperta, lo spazio si esaurisce con due materassi singoli, disposti uno adiacente all’altro e una seggiola. La porta non si chiude.
Mentre M mangia, e mi racconta la storia di quel luogo gli chiedo se posso fare qualche foto.
Sono quasi le 14:00, chiedo a M se vuole qualcosa, mi risponde un caffè e mi suggerisce di andarlo a prendere in un posto più economico rispetto al bar che ci troviamo di fianco.
Questa domenica mattina M mi spiega tante cose, il rapporto con i proprietari degli edifici abbandonati, che sanno, lo incontrano. Per loro va bene finché tutto rimane nell’anonimato, finché i lucchetti rimangono chiusi e le persone non si lamentano.
Se vuoi entrare scavalchi, io non ti conosco.
Così resiste M, scavalcando cancelli, per entrare in casa, fiutando la situazione prima di avvicinarsi.
Lo saluto e lo ringrazio per il tempo che mi ha dedicato, andandomene continuo a rimuginare su tutte le volte che mi ha ribadito di non voler essere accomunato ad un animale, di essere un uomo. Lui si, sicuramente lo è; una persona uguale a me e merita di meglio di tre giacigli freddi e umidi dove dormire.
Forse noi che abbiamo un tetto, dovremmo provare a pensare di essere animali in realtà, poi volendo, anche umani.
Per non cadere in una narrazione Orwelliana della realtà in cui alcuni potrebbero sentirsi più umani di altri M ci riporta alla resistenza di chi ha perso tutto e continua ad essere gentile, a partire dalle piccole cose, dal chiederti se ti da fastidio la puzza dei luoghi in cui ti porta, al consigliarti di offrirgli un caffè in un posto un po’ più economico per farti risparmiare qualche centesimo.
La narrazione della situazione sul Ponte Nord fatta da alcuni media, accomunata con parole poco appropriate e commenti fuori luogo ad altri luoghi di Parma, arriva come una campana apocalittica ai timorati del degrado, e colpisce con la prepotenza dell’ignoranza i cuori della plebe, senza affrontare la complessità del reale.
Ecco come si costruisce il razzismo, come si nutrono la paura e l’odio distraendo le persone dai problemi reali, come si concima il terreno dei populisti, fertile suolo per nuove forme di autoritarismi.
A Parma esiste Rete Diritti in casa, che ci riporta a un’umanità costruita sulla resistenza della lotta solidale con chi non ha più niente e nessuno a cui aggrapparsi.
La rete fa questo, c’è, per chi è rimasto solo, per chi ha negli occhi l’angoscia di non sapere dove andare, c’è, con il coraggio necessario a tendere una mano a queste persone, sapendo che potrai fare poco per loro, ma tutto quello che potrai fare lo farai, e la rete lo fa davvero, tutti i martedì allo sportello dando consigli, radunando persone ai picchetti, chiamando gli assistenti sociali, dialogando con le istituzioni e con Acer, mobilitando le persone per creare presidi e manifestazioni!
Penso a una persona cara, che mi ha aperto gli occhi sulla condizione animale, stavamo leggendo insieme un libro, di cui consiglio la lettura, di Filippo Zibordi, L’uomo e l’orso possono convivere?
Il testo parte da un analisi accurata degli animali che l’uomo ha allontanato, preziosi attori dell’ecosistema naturale, tanto più sano quanto più diversificato.
Dovremmo partire da una profonda critica allo specismo e restituire, anzi ricostruire la dignità degli animali. Sviluppare una maggiore sensibilità verso il rispetto della vita in generale. Questo forse potrebbe aiutarci ad avere maggiore rispetto degli esseri umani, dei nostri simili. O, se accettiamo l’idea di Plauto e Hobbes che l’uomo è lupo tra gli uomini, dovremmo almeno considerare che il lupo non è uomo tra i lupi!
Questo pomeriggio c’è il sole, è domenica e c’è la fiera del cioccolato in piazza Garibaldi.
Il cioccolato è una delle filiere meno tracciate, connesse a deforestazione, sfruttamento minorile e dei lavoratori. Curiose le contraddizioni del mondo in cui viviamo…
Presto forse sgombereranno il ponte Nord dopo averlo dipinto come il vero problema da risolvere, quel ponte emblema della corruzione politica, dell’interesse economico che prevarica le leggi e rende lecito qualsiasi atto criminale, sposteranno le persone per nascondere il problema un’altra volta, sotto quel tappeto che vogliamo illuderci di vedere pulito, ma che porta sopra le nostre orme di menefreghismo.
Stare dalla parte degli ultimi è uno dei modi più semplici per aprire gli occhi sulla realtà, ribaltando prospettiva, resistendo all’unica omologante corrente di pensiero, che ci strascina placida verso valle.
Provate anche voi ad andare sul Ponte Nord, ma guardate a sud, controcorrente, guardate l’acqua che vi viene incontro, simbolo della vita che scorre, non la si può fermare, la si può solo accettare, come il flusso dei migranti che continueranno ad arrivare, possiamo accoglierli, come salici, resistere e lottare per un sistema di integrazione adeguato, o ostacolarlo e crollare come il cemento di fronte alle piene improvvise.
Autore
Lorenzo Menozzi