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Chi si sia trovato la mattina del 19 marzo a Parma, nelle strade che vanno da Barriera Repubblica fino all’EFSA su Viale Piacenza, avrà notato la sfilata di giubbotti gialli sventolanti le bandiere con il disegno delle spighe di grano. Si è trattato della manifestazione nazionale di Coldiretti (Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti), cioè la principale organizzazione di rappresentanza degli agricoltori d’Italia. Fondata nel 1944, tutela e promuove gli interessi delle imprese agricole e degli agricoltori (in senso ampio, quindi sia coltivatori della terra che allevatori di animali), fornendo servizi e assistenza su vari aspetti come accesso ai finanziamenti, consulenza fiscale e legale. Il 19 marzo Coldiretti è scesa in piazza, con la partecipazione di circa 20.000 agricoltori provenienti da molte regioni d’Italia.
Perchè a Parma? Perchè qui ha sede l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), l’ente che si occupa della valutazione dei rischi legati agli alimenti nell’Unione Europea, e che ha il compito di autorizzare il commercio dei cosiddetti “novel food”, cioè tutti quegli alimenti nuovi o “non tradizionali” per la dieta europea; è il caso per esempio degli insetti, delle alghe, dei semi di chia, di certi integratori a base di batteri o enzimi, o anche dei cibi sintetici come la carne coltivata in laboratorio e il latte sintetico.
Ecco, Coldiretti ha scelto di manifestare davanti ad EFSA proprio contro l’introduzione dei cibi sintetici in Italia. Chi è salito sul palco a parlare, tra cui lo stesso presidente nazionale Ettore Prandini, si è fatto portavoce di due obiettivi principali: la difesa delle tradizioni culinarie italiane (“Non uccidete il Parmigiano Reggiano!”) e la richiesta di maggiore rigore scientifico sui novel food, ritenuti da loro una minaccia per la salute pubblica e l’identità agroalimentare italiana. Su cartelloni e striscioni si leggevano slogan come “Cibo dalle campagne, non dai laboratori”, “I cittadini europei non sono cavie”, “Salviamo gli italiani”.
Andiamo con ordine. Coldiretti chiede a EFSA di svolgere attente valutazioni scientifiche sugli alimenti prodotti in laboratorio, e di sottoporli a studi clinici analoghi a quelli previsti per i farmaci; ma la verità è che non serve che lo chieda Coldiretti: le regole dell’UE già prevedono che i novel food non possano essere commercializzati senza valutazione scientifica preventiva. Per questo dal 2002 esiste EFSA, per fornire consulenze scientifiche, imparziali e trasparenti alla Commissione europea, che prenderà poi le decisioni politiche in merito. Inoltre la pretesa che i nuovi alimenti vengano trattati come farmaci è infondata: i farmaci hanno un impatto diretto sul metabolismo e sono progettati per trattare condizioni specifiche, mentre gli alimenti devono solo dimostrarsi sicuri per il consumo. Questa insistenza viene fatta passare per estrema prudenza verso i rischi, ma è evidentemente un modo calcolato per ostacolare e rallentare l’approvazione dei novel food. Coldiretti è un sindacato: è normale che tenti di interagire con la politica per far valere le sue posizioni; ma è necessario arrivare ad interferire con un ente scientifico indipendente che lavora appositamente per la sicurezza dei cittadini?
Comunque, se si vuole parlare della salute dei consumatori, allora è bene ricordare che il cibo sintetico nasce proprio per essere un'alternativa più sostenibile rispetto ai cibi tradizionali, a livello di salute dell'essere umano, impatto ambientale, ed etica.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha classificato la carne rossa come “probabilmente cancerogena” e la carne lavorata (salumi, wurstel, carne/pesce in scatola) come “cancerogena certa”; cioè può causare o aumentare il rischio di sviluppare il cancro. Ma a parte questo, conosciamo bene il fenomeno dell’antibiotico-resistenza: negli allevamenti intensivi si somministrano grandi quantità di antibiotici, usati non solo sugli animali malati ma anche su quelli sani per prevenire malattie o accelerare la crescita; l’uso eccessivo fa sì che si sviluppino dei batteri resistenti, che si trasmettono all’uomo attraverso il consumo di carne, fino a renderlo insensibile all’effetto dell’antibiotico stesso in caso di necessità. E’ curioso che proprio chi lavora nel settore e somministri in prima persona questi antibiotici sfili con i cartelli “La salute delle persone prima di tutto!”.
Dal punto di vista ambientale, il discorso è molto simile. Coldiretti si sta battendo per la difesa della tradizione agricola italiana che - a detta sua - equivale a battersi per la salvaguardia delle nostre campagne. Nel corso della mattinata, un intervento dal palco inizia proprio così: “la Terra è un bene prezioso, dobbiamo proteggerla. Quello che usiamo lo stiamo togliendo ai nostri figli”. Ennesima contraddizione. E’ proprio il modello agricolo tradizionale uno dei protagonisti dell'attuale crisi climatica e ambientale. La coltivazione e l’allevamento di cui parlano loro, l’idillio del contadino in armonia con la natura che non sa cosa siano i pesticidi e libera gli animali al pascolo non esiste più da secoli. Il modello di base oggi è quello intensivo. In Europa ogni anno vengono macellati 6 miliardi di polli e oltre 200 milioni di maiali. Il che significa emissione di tonnellate di gas serra, inquinamento delle acque, impoverimento del suolo (per via delle monocolture destinate ai mangimi), e spreco delle risorse idriche (il 70% dell’acqua dolce disponibile globalmente è destinata agli allevamenti).
Da parte degli agricoltori italiani, difendere ostinatamente il settore agricolo e zootecnico tradizionale, e assalire le innovazioni e le avanguardie alimentari, non significa né avere a cuore la salute dei consumatori né tanto meno preoccuparsi per il benessere del Pianeta, ma solo salvaguardare i loro interessi economici. Questa manifestazione non è stata altro che l’ennesima crociata allarmistica e disinformativa, sostenuta da discorsi e slogan assolutamente antiscientifici, oltre che dal contenuto vago e demagogico (“Cose buone, persone buone!”).
Messo in chiaro questo, non si possono nemmeno ignorare gli interessi di migliaia di lavoratori; né pensare di poter chiudere tutti gli allevamenti e darsi alla carne sintetica dall’oggi al domani. E’ necessario un dialogo, una collaborazione delle parti per un approccio graduale e supportato: offrire programmi di formazione agli agricoltori per insegnare loro metodi più ecologici, promuovere il biologico, ridurre l’utilizzo dei pesticidi, adeguare il carico zootecnico alla sostenibilità dei territori, e sì, anche investire nella ricerca sui cibi come la carne sintetica, per arrivare (almeno) ad affiancarla a quella tradizionale. Un simile dialogo non potrà mai avvenire, se i diretti interessati si ostineranno a negare le evidenze della scienza.