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27 agosto 2024, da qualche parte in Europa.
Il treno attraversa leggero le campagne, avvolto dal respiro caldo e inebriante delle notti d’estate. Cecilia e Rebecca si sono appena assopite ed io guardo il mondo che scivola via fuori dal finestrino. Dopo questo viaggio mi sono innamorata dei treni. Non i treni veloci che in poco tempo ti portano a destinazione, ma quelli lenti, che ti fanno sentire il peso e la fatica del viaggio. Quelli da cui puoi osservare con attenzione i paesaggi che man mano ti si presentano davanti. Quelli che ti danno il tempo di fare pensieri pesanti, capaci di sopraffarti, chiusa nel tuo mondo, i cui unici confini sono rappresentati dalla musica che fuoriesce dalle cuffiette. Ad ogni stazione salgono nuove persone, nuovi personaggi per infinite storie pronte per essere scritte o silenziosamente celate nei cassetti della propria mente. Come quando tra i campi verdi della Danimarca, sedute a terra tra i vagoni, avevamo condiviso il viaggio assieme ad un ragazzo. Lo avevo osservato a lungo: capelli dorati e occhi scuri, giovane, non doveva avere più di 25 anni. Mi era piaciuto pensare che anche lui stesse facendo l’interrail e inseguisse l’estate del Nord Europa con la sola compagnia del suo zaino. Poggiava dolcemente le dita sui tasti del suo computer e scriveva, senza curarsi del caos intorno a lui. Scriveva una mail di lavoro? Aggiornava un amico lontano o la fidanzata? Oppure stava scrivendo un racconto sul suo viaggio in solitaria e tra i personaggi eravamo presenti anche noi, tre ragazze un po' assonnate ma sorridenti, in attesa di arrivare a destinazione? Ecco perché mi piacciono i treni, qui non è possibile annoiarsi, continuamente si sfiorano vite e pensieri. Durante questo viaggio di ritorno a casa però mi viene difficile porre la mia attenzione su ciò che mi accade attorno. Ora la paura del futuro si presenta e tiene banco in me. Il pensiero che poche ore mi separavano dalla fine di quella avventura pazza che era stato l’interrail mi aveva colpito come una tempesta improvvisa. Nelle ultime settimane mi ero abituata a vivere con Rebecca e Cecilia, tra nuove grandi città e stazioni sperdute. Mi ero crogiolata nell’illusione che avremmo potuto vivere così per sempre, alla giornata, tra risate e spensieratezza. Nella musica di Berlino, nei colori e nell’umanità di Copenaghen. Nel sapore di birra e odore di erba tra i ponti di Amsterdam, e ancora in tutti quei frammenti di vita incontrati in tutte le stazioni di passaggio. Che fine avrebbero fatto i nostri discorsi profondi e talvolta leggeri che accompagnavano la notte? Non avremmo più cantato Calcutta in attesa di un treno o ballato senza imbarazzo per le strade. Che cosa avremmo fatto? Saremmo ritornate alla realtà, o meglio ci saremmo consegnate finalmente alla realtà, quella vera, che tutti dicono abbia inizio dopo il diploma. Quell’anno a settembre non sarebbe ricominciata la routine rassicurante della scuola. Nessuno sarebbe più stato lì apposta per dirci cosa fare, tutto sarebbe stato nelle nostre mani. Sento un brivido di eccitazione di fronte all’idea di cambiare e andare incontro all’ignoto, ma forse non mi sento veramente pronta a questo. La paura di sbagliare e sentirmi fuori posto in questo mondo dove tutti sembrano realizzati e soddisfatti mi avvinghia lo stomaco. Come posso esserne all’altezza se mi sento soffocare dall’angoscia ancora prima di iniziare? A breve ognuna di noi avrebbe cominciato a costruirsi la propria strada, a studiare, a lavorare. Probabilmente lontane dalla città che ci aveva viste bambine e donne, sempre insieme. Lontane l’una dall’altra. Una lacrima bagna di sale il mio viso. Scende giù, come la goccia di pioggia che incontra il vetro del treno. Ma questi sono solo pensieri. Ciò che era stato sarebbe rimasto e cresciuto, ci saremmo accompagnate attraverso la vita, come eravamo state abituate a fare finora. Una parte di noi sarebbe rimasta ferma “a quella notte di un agosto magico” come dice la canzone dei Pinguini che ci piace tanto cantare. In noi rimarrà per sempre inciso quest’ultimo eterno attimo di giovinezza.
Autore
Viola Mattioli