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Messaggio in bottiglia n. 1: Capitoli I e II
Capitolo I: Via dall’albero marcio
Durante l’estate appena passata, tra un mojito in spiaggia ed un genocidio in diretta-tv, a qualcuno sarà capitato di apprendere che Daniel Ek, amministratore delegato e cofondatore di Spotify, ha investito più di 600 milioni di euro nella startup tedesca Helsing, specializzata nella produzione di droni da combattimento basati sull’intelligenza artificiale.
Ora…in una società le cui fondamenta non fossero l’onnipresente competitività e la ricerca spasmodica del profitto in un clima di indifferenza di massa e azzeramento etico dei singoli, sapere che la piattaforma musicale più utilizzata al mondo fosse collegata ad investimenti scellerati come quello di Ek avrebbe provocato ben più trambusto di quello a cui abbiamo assistito (ruttino a bocca chiusa, in questo caso, sarebbe un termine più appropriato).
Sì, perché molti di voi consumatori probabilmente non sanno nulla di questa storia (non sapete quanto mi addolori scrivere ‘consumatori’: per me la musica è e resterà sempre solo un’arte, ma questi sono i tempi in cui viviamo). Altri hanno appreso la notizia, magari sui social, ma non se ne sono interessati. Per quanto riguarda gli artisti, qualcosina si è mosso e ne parleremo in seguito, ma l’eco di poche scelte consapevoli non può riempire la caverna dell’indifferenza. Io scrivo per coloro che vogliono cercare un’alternativa, e per quelli che non si sono ancora stancati di farlo.
Sono Zaccheo Arduini, in arte NessunaZebra, e mi dichiaro amante della Musica. In questo mio primo articolo per Punto e Virgola Indipendente toccherò vari temi, forse troppi, ma il discorso è piuttosto complicato e su di esso voglio costruire una riflessione che abbia un minimo di compiutezza. Per farlo, più che di un paio d’orecchie e di un cuore che batte, dovrò dotarmi di un’attenzione particolare: quella che ognuno di noi, come cittadino e consumatore, è chiamato a prestare se vuole uscire dalla palude del consumismo acefalo e della strabordante vacuità delle cose odierne. Ma ogni viaggio, se anche non conosce la sua destinazione, deve pur sapere da dove parte. La fine deve conoscere l’inizio, per potergli dire addio. Per questo tolgo gli occhi dalla palude e mi volgo indietro. Davanti a me c’è Spotify: un tronco marcio…
Per quanto tempo sono stato seduto qui?
Capitolo II: Dentro l’albero marcio
Prima di addentrarmi nel fitto della marcescente industria musicale contemporanea, nonché all’interno della stessa questione dell’investimento di Ek, avverto il bisogno di raccogliere una per una le altre magagne legate alla piattaforma neroverde.
Emerge innanzitutto un modello che tende alla perdita generale di valore della musica in quanto arte. I musicisti non vengono considerati in base alla bravura, ma sono anzi ridotti al numero di stream e follower. Anche l’esperienza di ascolto in sé è profondamente cambiata: Spotify asseconda infatti gli stati di distrazione e semi-attenzione degli utenti (specie quelli delle ultime generazioni), anziché invitare ad una ricerca attiva di artisti e canzoni. Questo significa che, anziché ad esempio prendersi un pomeriggio per sviscerare la discografia di un cantautore che ci piace, tendiamo ad accettare supinamente di sfogliare una playlist come Discover Weekly, la quale pretende di raccogliere canzoni di artisti affini a quelli che abbiamo ascoltato nell’ultimo periodo. Poi, però, ci sono gli algoritmi della piattaforma, e per qualche motivo ti ritrovi a pensare: perché mi consiglia queste canzoni, questi artisti, e non altri? La progressiva diminuzione della durata media delle canzoni è un’altra conseguenza di questo mutamento nella fruizione del bene-musica.
Passando alla questione economica, possiamo senz’altro dire che la scarsissima retribuzione degli artisti è una delle chiavi del successo planetario di Spotify. La remunerazione media, al di là di eventuali contratti particolari tra artista o etichetta e piattaforma, è infatti di 0,003-0,005$ per stream. Questo significa, in sostanza, grandi profitti solo per la piattaforma stessa e per le poche grandi superstar in grado di macinare milioni e milioni di ascolti, nonché per le loro case discografiche.
Negli ultimi anni, un’ulteriore controversia ha fatto capolino nella già ricca collezione di Spotify: quella dei cd. artisti fantasma, ovvero identità musicali fittizie create ad hoc per occupare gli slot nelle playlist. Identità fittizie a cui, manco a dirlo, non è necessario pagare alcunché in termini di royalties, a differenza degli artisti reali. Questo è quanto portato alla luce dal quotidiano svedese Dagens Nyheter nel 2022: la piattaforma commissiona a società terze la creazione di pezzi d’atmosfera a basso costo, per poi attribuire quei pezzi ad artisti falsi ed inserirli nelle playlist più popolari di musica chill, lo-fi, ambient, proprio per non dover pagare degli artisti veri. Così facendo, apre una voragine tra l’ascoltatore e l’autore della cosa ascoltata, permettendo anzi una totale estromissione di quest'ultimo dall’equazione. Questa pratica, oltre ad essere per nulla trasparente, riduce le possibilità per gli artisti emergenti di farsi conoscere. Con le recenti evoluzioni nel campo dell’intelligenza artificiale, inoltre, la piattaforma non avrebbe più neanche bisogno di commissionare le canzoni a società esistenti, potendosi affidare ad applicazioni già molto sviluppate (come Suno) per porre in essere le sue pratiche discutibili.
Un altro tema ancora, che non rientra propriamente nel novero delle pratiche antietiche, ma è comunque meritevole di considerazione: lo stesso quotidiano Dagens Nyheter ha riportato la donazione di circa 150 mila dollari da parte di Spotify al Comitato per l’Inaugurazione Presidenziale di Donald Trump. Nel 2020, inoltre, il colosso di Ek si è accordato con il podcaster più famoso degli States, Joe Rogan, per un contratto in esclusiva da più di 100 milioni. Ora…le opinioni non interessano alle multinazionali, le cui ragioni sono sempre quantificabili, ma l’impatto delle idee di Rogan sul dibattito politico negli USA è stato, a detta di molti analisti, notevole (soprattutto sui giovani uomini) nel senso di uno spostamento verso destra. Non solo musica, quindi, ma anche politica…è una vera sorpresa?
Spotify è una multinazionale e si comporta come tale. Come per ogni azienda piccola o grande che sia, il suo fine è la massimizzazione del profitto e oggi, 2025, operare sul mercato come multinazionale significa diversificare gli investimenti, operare in vari ambiti e su vari piani, incluso quello culturale e politico. Nel suo libro Mood Machine: The Rise of Spotify and the Costs of the Perfect Playlist, Liz Perry sostiene che la vera domanda non sia quale app d’ascolto utilizzare al posto di Spotify, Apple o Amazon Music, bensì: “Come possiamo ridurre il potere delle aziende nei confronti della musica e della cultura? Come possiamo ridurre al minimo l’influenza delle multinazionali sulle nostre vite?”. A conferma del fatto che non sia solo Spotify ad agire più o meno direttamente sul piano politico, per la suddetta Inaugurazione Presidenziale di Trump, Apple e Amazon hanno donato 1 milione di dollari a testa.
Questi ed altri sono i bachi all’interno della mela Spotify. Per una trattazione più estesa dell’argomento, rinvio all’ottimo articolo di Extended Play citato alla fine di questo secondo capitolo.

© Wired
Davanti ai miei occhi, la nebbia si fa più densa ed avvolge la palude. Continuo a ripetermi di avere fede nei soliti strumenti: spirito critico, curiosità e spinta ad essere una persona migliore. Ma basterà? Forse questo tronco è troppo marcio, questa nebbia troppo fitta perché io ne esca incolume e senza contaminazione. Non voglio essere un altro ingranaggio: non voglio ignorare i dietro-le-quinte dei servizi e delle piattaforme che uso quotidianamente oppure accettare passivamente quello che mi viene offerto solo perché, tutto sommato, è il miglior prodotto sul mercato. Quello più comodo, più fruibile, meno dispendioso…questa gabbia limacciosa mi blocca le gambe. Sii piuttosto un minuscolo, quasi invisibile granello di sabbia nella grande macchina, mi dico.
Ho una torcia con me…per qualche motivo la tenevo spenta.
E c’è un’altra luce laggiù, oltre questa coltre di decadenza…per qualche motivo l’ho vista brillare solo adesso.
Ma c’è, io la vedo. Io lo so.
Ringrazio la redazione di Punto e Virgola per lo spazio che mi è stato concesso e saluto voi lettori, nella speranza che queste mie prime due puntate vi abbiano dato qualche spunto di riflessione. Nel prossimo capitolo ci addentreremo nel panorama delle alternative a Spotify: possibili, immaginate, immaginabili.
Per la scrittura di quest’articolo mi sono avvalso delle seguenti fonti:
- https://valori.it/spotify-investimenti-militari-daniel-ek/
- https://extended-play.it/il-caso-spotify/
- https://www.rollingstone.it/musica/storie-musica/parlare-di-spotify-per-parlare-dei-padroni-della-musica/958757/
- https://www.ilpost.it/2024/11/13/influenza-joe-rogan-podcast-stati-uniti/
Autore
Zaccheo Arduini
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