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La mattina di venerdì 3 ottobre sono accorso alla manifestazione a favore di Gaza e della Global Sumud Flotilla nella mia città, Cagliari. Ero in ritardo e dovevo incontrarmi con un’amica. Arrivato nella piazza di partenza del corteo ghermita di persone le scrivo “Dove sei?”. “Sono avvolta in una bandiera palestinese, mi riconosci”, la sua risposta sembra quasi una battuta: saranno decine e decine le persone che portano addosso i colori di Gaza. “Dammi qualche altro riferimento” le chiedo. “Sono sotto una grande bandiera di One Piece” risponde. Alzo lo sguardo e la vedo subito: appeso a una lunga asta sventola un vessillo nero con al centro un teschio che indossa un cappello di paglia. Sorrido: è una bandiera che mi accompagna da almeno dieci anni ormai. Icona di una delle opere più amate al mondo, il secondo fumetto più venduto della storia dopo Superman. 113 volumi, 1162 capitoli dal 1997 a oggi, più un lunghissimo adattamento animato, spin-off scritti e animati e un live action tanto costoso quanto di successo su Netflix.
Sapevo, dalle notizie degli ultimi mesi, che quella bandiera era diventata un simbolo ricorrente nei movimenti rivoluzionari spontanei in tutto il mondo, ma vederla davanti ai miei occhi in uno degli eventi di protesta più partecipati del nostro paese mi ha lasciato stupito. Tante altre bandiere della ciurma ci circondano, alcune sventolanti, altre disegnate su cartelli tenuti alti sulle teste, decine di persone con maglie rappresentanti Monkey D. Luffy e addirittura un trio di ragazzini con sulla testa l’omonimo cappello di paglia. Non è un caso sporadico. Accanto alle fiere del fumetto, alle collaborazioni con i più importanti marchi internazionali come Lego, Adidas e Gucci,alle comparse nel mondo sportivo (dalle maglie brandizzate dei giocatori del Borussia Dortmund, alle esultanze di tantissimi atleti che imitano le mosse di Luffy e altri protagonisti di One Piece), il teschio sorridente col cappello di paglia è un simbolo onnipresente. Ora, nelle proteste della società civile, è diventato anche qualcosa di più.
Dalle piazze italiane contro il genocidio di Gaza, alle proteste rivoluzionarie degli ultimi mesi dall’Indonesia al Nepal, dal Madagascar al Marocco, alla rotta della Global Sumud Flotilla grazie a Tony La Piccirella, attivista italiano imbarcato sulla Alma, quella bandiera sventolante è ufficialmente entrata nel novero delle icone della liberazione. Le proteste degli ultimi mesi hanno qualcosa in comune: sono animate e organizzate (questo vale in particolare per i paesi non europei) soprattutto dalla generazione Z, ragazzi e ragazze nate a partire dal 1997, coetanee di One Piece. E hanno scelto, come simbolo di dissenso contro governi ritenuti autoritari, antidemocratici, corrotti e violenti.
«È il tentativo di slegarsi da quello che i ragazzi della generazione Z vedono come un'imposizione dall'alto» mi racconta Angelo Cavallaro, storico e content creator di spicco della comunità italiana di fan i One Piece con il nome di “sommobuta”. «Mi sembra che questi giovani ritrovino all'interno di queste storie degli esempi a cui ispirarsi per provare a cambiare il proprio mondo esattamente come i protagonisti di One Piece cercano di cambiare il loro».
Anche per me One Piece è sempre stato un simbolo di libertà: una storia pluridecennale su un’improbabile ciurma di pirati che viaggia alla ricerca di un leggendario tesoro entrando a gamba tesa in avventure di ogni tipo durante la loro rotta, ma in cui ogni saga racconta temi politici e sociali incredibilmente attuali. Dal razzismo e la supremazia violenta imposta dagli umani agli uomini-pesce e viceversa, ai regnanti corrotti e sfruttatori, alle guerre civili, il colonialismo, la manipolazione dell’opinione pubblica, lo schiavismo: la ciurma di Cappello di Paglia si scontra periodicamente con ogni ingiustizia esistente nel nostro mondo e diventa ogni volta, anche involontariamente, un simbolo di liberazione per le popolazioni oppresse.
«La bandiera di Luffy» continua Angelo Cavallaro «è diventata simbolo della lotta contro il sopruso, contro il potere costituito, di ideali di liberà per sé stessi e per gli altri tanto nel fumetto quanto anche nel mondo nostro. È diventata un veicolo in cui riconoscersi». Quella è la bandiera che abbiamo visto sventolata da un ragazzino pirata fatto di gomma mentre sconfiggeva signori della guerra e re corrotti. Lo stesso ragazzino che ha dichiarato guerra al tirannico e oscurantista Governo Mondiale, sfidando ogni autorità sulla Terra per proteggere una sua compagna accusata e condannata a morte per aver passato la vita a studiare il passato del mondo che il governo vuole cancellare. Lo stesso ragazzino che, davanti alla bandiera simbolo del Governo Mondiale e alla minaccia di questa autorità, pronuncia poche parole al suo compagno cecchino: “Quel simbolo… fallo a pezzi”. Lo stesso che, combattendo contro un tiranno che ha occupato e distrutto una terra non sua affamando gli abitanti nativi grida: “Io creerò un mondo in cui i miei amici possano mangiare a sazietà” e che davanti a un Dio autoproclamato che regna nel terrore gli urla in faccia: “Mi hai stancato con la storia del Dio. Che razza di Dio è uno che non si degna di salvare nessuno?!”.
«Non è la prima volta che One Piece è stato utilizzato in questo modo» precisa ancora Cavallaro. «Mi vengono in mente le proteste del 2019 a Santiago in Cile, dove si protestò con cartelloni e vestiti ispirati al manga contro il governo cittadino per l’innalzamento del prezzo dei mezzi pubblici. Contro un provvedimento che rischiava di pesare duramente sulle economie familiari più fragili, centinaia di migliaia di ragazzi scesero in piazza per diversi giorni al grido “il One Piece esiste, ma ce l'hanno rubato!”. Come a dire il One Piece è il nostro futuro, ma questa politica iniqua ce lo sta togliendo».
Le rivoluzioni sono storie di fondazione e come tali raccolgono attorno a sé dei simboli, così sosteneva Hannah Arendt, una delle più grandi pensatrici politiche del XX secolo che avrebbe ammirato il furore di queste proteste giovanili spontanee. Che il teschio con il cappello di paglia sia stato scelto da questa nuova generazione di manifestanti come simbolo della rivoluzione, è in linea con le due caratteristiche essenziali delle rivoluzioni per Arendt: libertà e spontaneità. Solo dove si lotta per l’apertura di uno spazio politico in cui qualcosa di nuovo possa emergere, animato dalla gioia e dalle felicità pubblica di uomini e donne, dove i rivoluzionari non sono mossi dal desiderio di controllare il corso degli eventi ma da una spontanea e vitale aspirazione alla libertà, lì c’è spazio per una vera liberazione. Ciò che muove i protagonisti nelle loro azioni sovversive non è un’idea di controllo sugli eventi né un’organizzazione strutturata, ma è la spontaneità delle scelte. Per questo i pirati, nel mondo di Oda, sono più pericolosi dell’Armata Rivoluzionaria che pure esiste e minaccia il Governo Mondiale: perché l’imprevedibilità e la libertà di persone come Luffy sono il più grande pericolo per ogni status quo.
«Il Jolly Roger di Luffy ha davvero trasceso la forma del medium fumetto per arrivare al nostro mondo» mi spiega Cavallaro con trasporto. «Come altri simboli prima di lui – penso alla maschera di Guy Fawkes inventata da David Lloyd per V per Vendetta - è sfuggito al fumetto e ha cominciato a vivere di vita propria. Sta diventando, se non è già diventato, un simbolo di riconoscimento e riconoscibile che rappresenta veramente libertà, libertà per tutti». Nella fine della nostra chiacchierata chiedo ad Angelo quale sia, per lui, il lato più affascinante del manga di Eiichiro Oda: «L’ho sempre apprezzato per la sua capacità di essere un fumetto sempre attualissimo e al tempo stesso universale. Essendo un’opera-mondo, One Piece è un generatore spontaneo di cultura, una specie di veicolo culturale. Al suo interno si può veramente trovare tutto: discussioni e rimandi alla storia, alla filosofia, alla letteratura, alla cultura popolare. Si può parlare di scienza, di matematica, di noetica, di psicologia, anche all'interno del capitolo di soli combattimenti c'è sempre quel momento che strizza l'occhio alla contemporaneità oppure personaggi si scambiano una battuta che rimanda a un tema etico, sociale, politico ben preciso».
Oda ha iniziato a disegnare One Piece quando aveva 22 anni, la stessa età dei manifestanti che ora portano il vessillo da lui creato nelle piazze e nei palazzi dei governi in fiamme. Il teschio sorridente rappresenta, per chi è cresciuto con One Piece come molti di loro, come me, come Angelo Cavallaro, dei valori ben precisi. Quelle migliaia di pagine disegnate raccontano la resistenza contro l’oppressione, la libertà come fine più grande dell’esistenza. Raccontano che “i sogni delle persone non svaniscono mai”. Non c’è spazio per il cinismo, per la disillusione. Chi è cresciuto leggendo le avventure di questi improbabili pirati ha conservato nel proprio cuore una piccola fiamma che si conserva accesa in un mondo che sembra al collasso, e che continua a ripetere, nonostante tutto, che “Ogni evento è possibile quando l’uomo lavora con l’immaginazione”.
Autore
Michele Vadilonga Gattermayer
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