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Onore, subordinazione della donna, sessualità repressa, vestiario modesto, tabù.
Molte persone penserebbero che io abbia appena finito di descrivere un paese del Medio Oriente, fuori dal mondo e preistorico.
Al contrario, io ho descritto le condizioni sociali in cui sono costrette a vivere le donne nei paesi occidentali, a partire dall’Italia.
In questo paese sono radicati una serie di tabù concernenti il corpo della donna e la sua stessa sessualità: basti pensare che nel nostro paese fino al 1996 il reato di stupro non era considerato come delitto contro la persona, ma contro la moralità pubblica e il buon costume (con la pubblicazione della legge n.66 del 15 febbraio 1996 inserita poi nel Codice Penale si va a tutelare la donna come persona).
E’ all’ordine del giorno oramai accendere la televisione e vedere al telegiornale (o aprendo qualsiasi testata giornalistica) notizie riguardanti violenze sessuali e femminicidi.
Perché si verifica questo? Perché in realtà questi accadimenti sono un sintomo di un sistema radicato nelle società di tutto il mondo da millenni.
Se agli albori dei tempi si era creata una distinzione di ruoli tra i generi nel contesto preistorico data dalle differenze biologiche a livello di forza per la sopravvivenza della specie, questa si è poi consolidata andando a creare quello che conosciamo oggi come sistema patriarcale (ha influenzato la storia e la società traendo vantaggio della posizione di potere che esso incarna, ma mantenendo sempre nel corso dei millenni la stessa matrice).
La donna, al pari della terra e dei possedimenti, è sempre stata reputata una proprietà e come tale doveva essere celata secondo gli usi e i costumi delle società, dei loro luoghi e dei loro tempi.
Doveva essere celata dagli altri uomini, perché nella collettività ella non era altro che un oggetto: non aveva possibilità di esprimersi liberamente e soprattutto la sua sessualità non era al pari di quella del genere dominante.
Che significato ha il tradizionale abito da sposa bianco?
Nell’immaginario collettivo l’abito bianco simboleggerebbe la purezza e l’innocenza (volendolo anche affiancare a un significato religioso), quando questo cambio di rotta avvenne per merito della Regina Vittoria d’Inghilterra, la quale in verità fu una donna che amava vivere la sua sessualità con suo marito, il principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha.
La Regina, infatti, oltre ad aver messo alla luce nove figli, possedeva un diario in cui annotava le sue fantasie erotiche e in cui descriveva le prestazioni sessuali del marito, sottolineando come odiasse e patisse la gravidanza, esprimendo anche una certa ostilità per quanto riguardava il ruolo di madre.
Sembra un paradosso dal momento che l’età vittoriana è da sempre e continua ad essere conosciuta per essere stata una società puritana, pudica, modesta e con una forte repressione per qualsiasi cosa riguardasse la vita sessuale.
Ancora oggi molte ragazze e donne hanno una conoscenza talmente scarsa del loro stesso corpo per via della mancanza di fonti d’informazione affidabili e di un’educazione fornita da esperti in materia, che finiscono per non interessarsi alla propria sessualità e a cosa succede all’interno del proprio corpo.
Molte donne non sono a conoscenza delle fasi del ciclo mestruale, delle fluttuazioni ormonali, di che cosa di fatto sia l’imene, di come utilizzare un assorbente interno ancor prima di avere avuto rapporti sessuali sia lecito, del concetto che la società ha dato alla verginità, del funzionamento del proprio apparato riproduttivo, dell’apparato del clitoride, di come l’orgasmo vaginale non esista, della miriade di contraccettivi disponibili in commercio, dei vari strumenti di igiene intima durante le mestruazioni e tante, troppe, altre cose.
Molti fatti li ho appresi per merito del mio interesse personale rispetto alla materia, ricercando scritti di professionisti e verificando le fonti, imparando così che internet in realtà non offre una quantità idonea e soprattutto la qualità necessaria, per fornire relazioni adeguate a chi si approccia al mondo del sesso per la prima volta.
In Italia per cultura si ritiene che questo compito debba essere affidato alle famiglie, quindi alle agenzie di socializzazione primaria, poiché si teme che queste informazioni possano andare a contrastare con i valori morali dei genitori (rimarcando come questo sia un paese in cui la religione è fortemente radicata), favorendo così censura, ignoranza in materia e spingendo i figli a informarsi tramite la pornografia.
La pornografia può essere uno strumento innocuo nel momento in cui chi ne fa uso è a conoscenza dei rischi che essa può portare, di come sia perlopiù tutta finzione e di ciò che si apprezza a livello personale.
Non si può dire la stessa cosa di chi invece attinge solamente da quel tipo di contenuti, registrati per la male audience, e che cerca di esplorare la propria sessualità perseguendo questa strada: il soggetto che ne usufruisce potrebbe essere ancora troppo piccolo per avere rapporti sessuali (si specifica anche che l’educazione sessuale non mira a promuovere il sesso nelle fasce d’età più giovani, quanto piuttosto a informare adeguatamente riguardo un mondo che prima o poi permettendo esploreranno con gli strumenti corretti e consapevolmente) o potrebbe non essersi ancora verificata la possibilità di averne: la donna in questo tipo di contenuti riprende quanto detto sopra, cioè ritratta come un oggetto e come una proprietà.
L’impatto negativo che la pornografia ha sulle persone giovani, ma a cui non sono immuni nemmeno le fasce d’età più adulte, è rafforzare uno stereotipo radicato nella società in cui l’uomo è “cacciatore” e la donna “preda” (nulla toglie che si possano ricoprire questi due ruoli a letto, le fantasie devono essere assecondate se è presente il consenso e la volontà di farlo, presupponendo anche un mutuo stato di eccitazione da entrambe le parti), tale per cui certi uomini si sentono legittimati a maltrattare la propria donna a letto, a umiliarla, a ricreare pratiche che lei non vuole fare, a sentirsi legittimati a togliersi il preservativo durante l’atto, ad eiacularle sulla faccia (pratica che naturalmente non verrebbe fatta, ma che si apprende solamente dalla pornografia), a toccare la partner durante il sonno, a legittimare rapporti incestuosi e stupri e tante altre cose.
Nei contenuti pornografici la donna vive il sesso e il piacere attraverso l’uomo, concentrandosi solamente sul piacere di quest’ultimo: non a caso la maggior parte di questi è eccitante solo per il pubblico maschile, costringendo le consumatrici a impiegare anche ore nel cercare quello più adatto o addirittura rinunciandovi per la mancanza di rappresentazione o di attenzione per loro.
Non sono solo pericolosi per la parte maschile, che come abbiamo già detto va a rafforzare lo stereotipo di “cacciatore”, ma lo sono anche per la parte femminile: la donna vedendosi rappresentata come oggetto internalizzerà questo modo di fare, oggettificandosi a sua volta e preoccupandosi di ricreare al meglio ciò che viene ritratto nei porno, non godendosi in alcun modo il momento, trascurando se stessa e facendosi trascurare, divenendo così vittima in un contesto nel quale dovrebbe essere priva di inibizioni.
Le istituzioni ad oggi ritengono che introdurre l’educazione sessuale nelle scuole sia inutile e controproducente, non preoccupandosi dei propri giovani, ma soprattutto delle proprie giovani, le quali vivono soggiogate dal monopolio dell’informazione del genere che detiene il potere.
In quanto donne bisognerebbe prendere innanzitutto consapevolezza di se stesse, del proprio corpo, di come funziona, di come può darci piacere, di come noi possiamo dargli piacere, di quello che possiamo fare a letto e che ci può appagare secondo la nostra anatomia e fantasie e ribellarsi a quella posizione che ci è stata imposta per millenni e in cui noi ci siamo accucciate perché abbiamo creduto che fosse il massimo a cui aspirare.
Ma non è così.
Che la rivoluzione parta dal clitoride.
Autore
Nicole Neva
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