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Il film Il canto del mondo- il folklore afrocubano è un vero e proprio viaggio, capace di trasportare lo spettatore in una realtà differente e carica di un’energia meravigliosa, vitale. E’ il primo di una serie di opere cinematografiche volte alla scoperta dell’identità sonora di popoli e culture lontane, qui la musica si intreccia alle grandi domande esistenziali dell’uomo e alla sua spiritualità. Questo capitolo d’avvio è dedicato a Cuba e al suo ritmo dalle origini africane, portato sull’isola attraverso la tratta atlantica degli schiavi a partire dal XVI secolo.
Regista del film è Luigi Bussolati, fotografo appassionato di Cuba e della sua musica. La sua voce accompagna con delicatezza il lungometraggio, senza mai appesantire la narrazione e lasciando così spazio alla rappresentazione. Ci guida attraverso una Cuba piena di umanità e tradizioni secolari, quella Cuba nascosta allo sguardo dei tipici turisti che ogni anno affollano l’isola per godere delle meravigliose spiagge e il mare cristallino. Partendo dall’Avana si prosegue verso est a Matanzas e poi a Santiago per giungere infine a Cienfuegos. Tutto il viaggio viene ripreso solamente con il cellulare per portare una ricostruzione sincera e spontanea dell’esperienza.
Luigi all’inizio del film dice che “percuotere un tamburo è un gesto secco, come uno scatto fotografico” ed è da questo pensiero che comincia la sua ricerca musicale ed emotiva, che oggi presenta a noi.
Iniziamo proprio dal luogo, come mai la scelta per cominciare questo viaggio è caduta proprio su Cuba?
Quello con Cuba è un amore lontano: in gioventù mi appassionai molto alla percussione afrocubana e negli anni 80 decisi di partire per studiarla sul posto. Mi innamorai di quel mondo, che da allora mi è sempre rimasto dentro. Pertanto ho deciso di iniziare questo viaggio nel suono con un tributo a Cuba, che penso sia la culla del canto e della musica.
Questo è dunque un vero e proprio viaggio nel suono. A Cuba la musica ha un valore molto particolare ed è strettamente legata con la sfera spirituale.
Si, è un viaggio nel suono. Suono che apre porte e costruisce ponti verso mondi spirituali celati alla vista. La musica è un veicolo che permette di introdurci in altre dimensioni, viene utilizzata proprio come strumento di connessione con il divino. È un modo per richiamare gli spiriti degli antenati, è quindi un elemento imprescindibile nella tradizione spirituale afrocubana. Pensandoci però, in tutte le tradizioni spirituali sono presenti musiche che favoriscono l’intercessione con il divino. Se a Cuba viene utilizzato il ritmo dei tamburi unito al canto e al movimento del corpo, in origine anche nella religione cattolica era centrale la musica attraverso il canto gregoriano, canto potente e intenso, che prima o poi mi piacerebbe raccontare.
Durante la narrazione del film si parla anche del peculiare rapporto che i cubani hanno nei confronti dei loro antenati, gli antepasados, rapporto differente rispetto a quello che vi è nella nostra attuale cultura. Importante poi anche in questo è sempre il ruolo della musica
Come già detto la musica serve per andare nel territorio dell’invisibile. Coloro che vengono scelti dalla divinità scendono in uno stato di trance, giungono in un’altra dimensione psichica e diventano un tramite per la divinità. Riportano poi ai presenti le parole e i consigli degli antenati. E’ molto importante questo rapporto con gli antepasados, coloro che hanno attraversato il mondo prima di noi, gli antenati appunto, che ci mostrano come vivere e come morire. Anche nella nostra tradizione è sempre stato sentito il rapporto con gli antenati, ora no, nonostante io credo sia di notevole valore. Sono la nostra radice e continuano a vivere dentro di noi; quindi, il fatto che in questo mondo contemporaneo ce ne vogliamo liberare perché proiettati solamente nel futuro significa perdere questioni vitali, profonde. Noi siamo fatti dei nostri antenati, esiste una continuità, ci hanno preparato una strada; quindi, il fatto di incontrarli e onorarli è una cosa molto importante. A Cuba è comune fare l’altare dei propri cari morti, ai quali ogni mattina si rivolge un saluto, si porta l’acqua e con cui si parla, perché sono lì, sono una presenza viva e danno il loro sostegno in ogni momento. La musica è il modo per richiamarli. Inoltre è molto importante il coinvolgimento di tutta la dimensione corporale. Quest’ultima un tempo era utilizzata anche nella tradizione spirituale cattolica, ed è curioso infatti vedere le differenze con cui le diverse culture si sono messe in contatto con il divino e come nel tempo si sono evolute.
Alle radici del folklore afrocubano troviamo la tratta atlantica degli schiavi, ovvero la deportazione di schiavi provenienti dall’Africa attraverso l’Oceano Atlantico che venivano poi venduti nelle piantagioni delle Americhe, una delle destinazioni era proprio Cuba.
È musica che appunto nasce dalla schiavitù, una delle cose più terrificanti che l’essere umano ha inflitto ad un altro essere umano. Eppure loro, di questa atrocità ne hanno fatto un canto, una sorta di forma di resistenza. Lo hanno fatto nascosti, spesso dando alle loro divinità nomi dei santi cattolici. È particolare anche perché questa musica, che nasce dal dolore della schiavitù, è esplosiva. Ad un primo ascolto, non sembra affatto una musica del dolore. Comunque dobbiamo sempre ricordare che è musica liturgica, di preghiera, non d’intrattenimento, come è per esempio la salsa. Molti canti sono preclusi ai non seguaci del culto e molti vanno anche perduti, per questo motivo è importante il lavoro che sta portando avanti Luca Brandoli, musicista che ci ha accompagnato durante questo viaggio, che li recupera e li trascrive con la speranza di riuscire a conservarli nella memoria e a tramandarli.
Un’altra particolarità di Cuba che viene evidenziata nel film è quella che ancora si “canta con il cuore” e insieme. Si percepisce bene che la musica sull’isola è un’esperienza condivisa ed è fondamentale per la vita della comunità, un aspetto forse che qui in gran parte è andato perduto.
Questo credo sia il prezzo del consumismo, di questo modo di vivere. I cubani hanno ereditato la capacità di unirsi dalla loro situazione estremamente difficile e piena di dolore. Hanno sviluppato un senso di comunità molto più spiccato, complice probabilmente anche il fatto di vivere su un’isola, che è una particolare condizione antropologica. Quelli rappresentati sono luoghi lontani dal centro, contesti difficili in cui le persone vivono in situazioni di disagio che però vengono vissute con una gioia che contamina, che qui è difficile provare. Ci si innamora di Cuba anche per questo motivo. Quando mai da noi una persona inizia a cantare per strada e gli altri passanti lo seguono, creando nuove melodie? Noi siamo abituati a vivere nella solitudine e nella diffidenza rispetto all’altro. A Cuba hanno molte difficoltà ma non quella della socialità e del senso di comunità, e questo si apprezza tanto. Senz’altro ha inciso su questo stile di vita l’influenza africana, grazie allo stretto rapporto con gli elementi naturali e il senso di appartenere ad un tutto e che in esso ogni cosa sia connessa, provocando così un’energia gioiosa.
Fulcro di questo viaggio sono la ricerca sonora ed emotiva, quest’ultima possibile anche grazie ad un alleggerimento dei mezzi espressivi, ovvero l’utilizzo del cellulare per le riprese. Perché questa scelta che all’apparenza potrebbe risultare meno tecnica?
L’idea è stata quella di non intromettermi più di tanto. Utilizzare una macchina fotografica oppure una videocamera, solitamente porta ad una perdita della spontaneità per la persona ripresa, perché c’è una voglia di rappresentazione. Mentre l’uso del telefono ha alleggerito questo aspetto. Non c’è stato alcun intervento particolare per quanto riguarda la ripresa delle scene, come invece generalmente avviene nel cinema, in cui una scena viene prima costruita e poi ripresa varie volte fino a giungere alla versione definitiva. Ecco, questo qui non è avvenuto, con i miei filmati io voglio essere solamente un testimone che sceglie il modo in cui filma, ma non interviene sulla realtà e lascia che si svolga così com’è. Un altro aspetto che ho visto essere apprezzato dal pubblico è stato il fatto che io abbia lasciato raccontare la gente comune, non esperti o professori. Al contrario sarebbe diventato un documentario classico. La mia idea era invece quella di riportare un’esperienza senza modificarla, raccontarla nel modo più vero, spontaneo e naturale senza alcuna impostazione. Per provocare poi anche un’immersione in una Cuba con cui un normale turista difficilmente entra in contatto.
Autore
Viola Mattioli