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Mercoledì sera, inizio delle vacanze di Pasqua. Una discoteca qualunque di Parma, strapiena di ragazzini da far paura, tanto che la traversata di pochi metri per raggiungere il bancone dei drink pare infinita. Finalmente ci riesco, cacciando subito fuori il free drink analcolico che mi sono guadagnato dopo una serata di lavoro (poco importa il perché sono qui, vi basti sapere che non é per ballare). Non ho fretta, ma qui la regola è che non ci sono regole, file o ordini. Chi fa il timido al bancone aspetterà in eterno, e non è di certo questa la mia intenzione. Appena la barista mi fa intendere che è arrivato il mio turno, arriva un ragazzo che questa regola sembra averla capita fin troppo bene. Indossa una polo bianca fradicia di sudore, e dai capelli altrettanto zuppi capisco che questa sera si é scatenato per bene. Tiene in mano una banconota rossa e stropicciata, appallottolata in mano come i fazzoletti che da giorni - maledetta allergia - affollano le mie tasche. La spiega un minimo, il giusto per iniziare subito a sventolarla platealmente in faccia alla barista. Lei, impassibile, mi indica mentre consegna tre bicchieri ad una ragazza e al suo gruppo di amici, facendo intendere al nostro cavaliere che io e i miei 10 minuti di attesa al bancone potremmo avere la precedenza. Il ragazzo, visibilmente infastidito dall’estenuante attesa, attende qualche secondo che la barista inizi a preparare la mia Lemon Soda a prova di ritiro della patente, per ripartire all’attacco. Un’altra sventolata di banconota, seguita da uno scocciatissimo “DAI!”. “Hai rotto il cazzo” commenta lei alla terza sventolata. “Vaffanculo” “Sei un maleducato” “Stai zitta e lavora”. Il suo dito segue la frase per completarla, indicando il basso come se quello fosse il posto che le spetta. Lei gli fa cenno di andarsene. Non avrà il suo drink (analcolico, vista l’età). Lui sorride, con una smorfia denigrante. In qualche frazione di secondo la barista fa cenno di chiamare qualcuno per cacciarlo, ma tempo di girarsi e lui si è già dileguato nella massa di corpi ondeggianti a ritmo con la cassa dritta di una canzone trap. Nessuna traccia. Nessuna punizione. Solo la fierezza di essersi sentito superiore a qualcuno senza un motivo apparente. Intanto lo “Stai zitta e lavora” sembra riecheggiare tra le bottiglie del bancone, mentre la barista riprende a servire i bicchieri con una risata delusa, nervosa, amara. Ho ragionato per diversi giorni su quel momento, e ancora non trovo un modo per definirlo a pieno. Spesso mi è capitato di affrontare il discorso dei “giovani di oggi del tutto rispettosi della parità di genere”, ma, dopo una scena del genere, posso esserne ancora così certo? Il fatto è che è troppo facile traslare tutto all’esterno, leggere di scene di gravità massima e pensare che tutto ciò che sta in basso non possa essere altrettanto grave (ci si potrebbe addentrare in questioni geopolitiche molto calde, ma non lo farò: chi vuole intendere intenda). Viviamo nell’era dell’esagerazione, dell’impatto, della competizione. Una notizia non è notizia se viene battuta da un'altra notizia. Una cosa grave non è piú grave se c’é di peggio. È così che il nostro commentare il fisico, toccare più del dovuto o riconoscere il successo di determinate donne solo per il loro aspetto estetico diventa normale, solo perché crediamo che la mancanza di parità riguardi il mondo degli adulti, degli stupratori, degli assassini… degli altri. Noi siamo bravi, chiudiamo gli occhi e lasciamo che una cosa degeneri prima di aprirli e renderci conto che sia troppo tardi. Ma siamo bravi, lontano da qualcosa che vediamo solo nel suo punto più estremo! Io stesso, penso spesso in questi giorni, ne sono stato parte quella sera, aspettando di intervenire solo quando le cose si sarebbero fatte peggiori. “Fa nulla” dirai tu. Certo… per una società nella quale tutti amano chiudere gli occhi e ignorare ciò che li circonda… fa nulla. Peccato che ad occhi chiusi si sbatte prima o poi. Non trovi?
Autore
Simone Gandini