Il 6 agosto 1945, su ordine del presidente americano Harry S. Truman, il bombardiere Enola Gay sganciò su Hiroshima “Little Boy”, la prima bomba atomica. Sono passati 80 anni e, da quel giorno, dall’orrore di quelle immagini — da quando fu chiara la necessità di prendere l’abbrivio verso una soluzione di totale disarmo — l’intera società continua a vivere nell’incertezza, nell'inquietudine e nel terrore dell’era atomica.
Una bomba.
Quella nuova scoperta scientifica — già ottant’anni fa — si impose alla coscienza collettiva in modo radicalmente diverso da tutte le precedenti. L’Uomo aveva varcato una soglia irreversibile: aveva generato qualcosa che, se lasciato pericolosamente senza governo, sarebbe stato in grado di annientarlo. Non più una Tecnica alleata della vita, ma una potenza cieca e smisurata, che non rischiara né fortifica, che non consola né giova all’anima, ma che proietta sul mondo una lunga ombra di morte— l'incubo peggiore che procede sulle rotaie nel cuore della notte umana, guardando dal finestrino uno scenario segnato da guerre, in cui il presidente della Repubblica scrive che «l'uso o anche la sola concreta minaccia di introdurre nei conflitti armamenti nucleari appare crimine contro l'umanità», poiché la possibilità e sempre aperta.
Siamo arrivati al capolinea, scendiamo e guardiamo indietro.
Fu allora, e da allora, che si fece chiaro, come scrisse Benedetto Croce, che «l’animale sapiens si armano sempre più di sapienza, grande ma altrettanto pericolosa», e che, per parare tale pericolo, per trarre dalle scoperte il bene possibile, e non il peggio, «si richiede non solo un proporzionato, ma un superiore avanzamento dell’intelletto, dell’immaginazione, della fede morale, dello spirito religioso e, in una parola, dell’anima umana».
A questo elenco crociano — già alto e completo — voglio aggiungere anche l’uso della Lingua: un uso corretto, responsabile, un uso leale. Perché soltanto nella lingua si dà la possibilità della diplomazia, del compromesso e del dialogo. È nella parola — diceva Italo Calvino — che si nasconde l’ultima forma di civiltà.
Resta in eredità da quel giorno la certezza che il progresso scientifico e tecnologico, per non essere strumento di rovina, necessita di un progresso morale altrettanto rigoroso.
Insomma, il problema non sono le scoperte ma il cuore dell'uomo.
Ora, in questo tecnico mondo radiogeno, dentro la cultura della catastrofe, è lo Scrittore a recitare il ruolo di protagonista in un cambiamento ch'è sempre più necessario; poiché l'unico in grado di utilizzare, come un abile pescatore, le grandi lampare nel mare delle parole, pescarle, radunarle, scartare quelle cattive, apprendere quelle buone e infine utilizzarle, convincendo la società ad imporsi per una pace senza fine; dire, ad una sola voce, che la guerra non vuole più farla. Né oggi né mai.
L'antagonista dello Scrittore, avvolto nell'ombra, è una forza che vuole questo pianeta ridotto a pochi Re su miliardi di schiavi: l'Interesse, l'Egoismo, il Danaro: unici sovrani su un deserto radioattivo; e inoltre, tenta l'omicidio della fantasia, della creatività e dell'abilità con cui l'uomo sa trovare le soluzioni più improbabili.
Qui, in questa lotta, si genera la condizione in cui la Persona -costretta ogni giorno a contare infiniti cadaveri- scrive in tempi d'ansia, grande causa della frenesia con cui oggi si pubblica; della fretta dei giornali; della mia.
E' importante che lo Scrittore utilizzi quest'ansia come forza creativa, per far sì «che nel mondo contemporaneo, segnato da forti tensioni e sanguinosi conflitti, l’illusoria sicurezza basata sulla minaccia (atomica) reciproca e sulla distruzione ceda il passo agli strumenti della giustizia e alla pratica del dialogo e della fiducia nella fraternità” come ieri ha detto Papa Leone.
Autore
Alessandro Mainolfi