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Chi si prende il mare e chi paga il conto
Avete presente quando arrivate al mare, pagate il lettino un occhio della testa e vi dicono pure che non potete portarvi la schiscetta perché “c’è il servizio”? E quel "servizio" è magari un bar che serve piatti surgelati presi al banco frigo del supermercato e ve li fa pagare come un ristorante di pesce fresco?
Bene, eccovi servita la polemica politica giusta da affrontare sotto l'ombrellone con amici e parenti.
Il problema è tutto nelle concessioni.
Intendiamoci, a noi consumatori, finché il servizio è buono, potrebbe anche interessare poco delle concessioni in sé. Il problema è che spesso il servizio non è buono: caro, scadente e con regole assurde. Le spiagge libere sono poche, isolate. Così il mare, che dovrebbe essere accessibile a tutti, finisce ostaggio di pochi.
Ancor più grave, per il privilegio di occupare quella fetta di spiaggia e il potere (illegittimo) di bandire la vostra insalata di riso o di impedirvi l'accesso al mare, in media il gestore paga allo Stato circa 6.000 euro all’anno.
Detta così non è chiaro se sono tanti o pochi?
Per aiutarvi a contestualizzare, il fatturato complessivo del settore, cioè quanto incassano i balneari in un anno, raggiunge in media oltre 30 miliardi di euro. Circa la metà dell'intera spesa pubblica per l'istruzione. E lo Stato cosa incassa da questa ricchezza estratta dal demanio pubblico? Più o meno 100 milioni. Il nulla.
In Italia le concessioni per le spiagge, che ricordo sono un bene pubblico, non vengono assegnate con gare aperte, dove chi presenta la proposta migliore, più sostenibile, più innovativa, vince. Niente concorrenza, niente mercato, niente rischio di perdere il posto.
Da decenni funzionano con un meccanismo di rinnovo automatico, il così detto “diritto di insistenza”, introdotto negli anni ‘90. In questo modo le stesse famiglie, generazione dopo generazione, tengono stretto il pezzo di spiaggia e lo sfruttano, anche abusandone, pagando una tassa irrisoria, senza alcun reale incentivo a migliorare il servizio o alcun criterio di tutela ambientale della costa da rispettare per mantenere la concessione. Oltre ad impedire a nuove generazioni di potenziali giovani gestori di avviare la loro attività, in quanto tutte le spiagge sono assegnate da decenni e nuovo spazio non c'è.
E no, non sto parlando di un lavoretto stagionale con cui il povero bagnino, si anche quello simpatico nostro amico, sbarca il lunario: qui si parla di un cartello monopolistico bello e buono.
Perché rischiare di perdere un’attività dove, ogni anno, con due palizzate, qualche lettino e un chioschetto mandato avanti da un paio di ragazzi pagati in nero, ti entrano soldi a palate?
E i governi? Soprattutto di questi tempi di tagli, dove si gratta il fondo del barile per trovare soldi per qualunque cosa, dovrebbe essere prioritario cercare di gestire al meglio i beni pubblici, soprattutto quelli da cui è possibile ricavare molti introiti, come le spiagge.
Ma nessuno osa toccarli. Perché, proprio come i tassisti, i balneari sono tanti, bravi a fare lobby attraverso le loro associazioni di categoria, sono radicati nel territorio, portano voti e sono in rapporti strettissimi con la politica locale.
In teoria ci sarebbe la direttiva europea Bolkestein dal 2006, che abbiamo recepito nel 2010 ma lasciato poi in un cassetto per 15 anni. Siamo riusciti a rimandare tutto fino ad adesso inventando mille scuse: dalla falsificazione nei documenti ufficiali forniti alla Commissione Europea sulla reale lunghezza delle spiagge italiane, alla debolezza dell'economia meridionale "non pronta" a competere con grandi operatori internazionali.
Sappiamo che i partiti di destra hanno storicamente nel proprio elettorale proprio i balneari e si sono spesi molto in campagna elettorale per rassicurarli e promettere che il loro piccolo feudo su suolo pubblico non sarà toccato. Ma come spesso accade le promesse elettorali rischiano di infrangersi sulla realtà.
Alla luce del rischio di dover pagare (finalmente direi) una pesante multa all’Europa, con il “decreto salva-infrazioni” il governo ha promesso alla Commissione che entro il giugno 2027 tutte le concessioni andranno a gara. La durata delle nuove concessioni sarebbe tra 5 e 20 anni, così chi investe avrebbe tempo di rientrare e si garantirebbe il riassorbimento dei dipendenti della vecchia gestione.
Ma il decreto sui criteri di assegnazione e sugli indennizzi ancora deve uscire. E la domanda è: sarà un vero libero mercato, regolato ma concorrenziale, che garantisca il giusto rapporto qualità/prezzo al cliente, il rispetto dell'ambiente, delle spiagge libere e degli accessi pubblici, e il giusto incasso per lo Stato o troveranno il solito stratagemma per lanciare la palla un po' più avanti e sperare di lasciare poi tutto com’è?
Intanto per questa estate, e la prossima, va così.
State già leggendo l'edizione di agosto di Punto & Virgola sotto un ombrellone strapagato? Allora nascondete bene il pranzo e buon bagno!
Autore
Luca Amadasi