Mi ritrovo a battere le parole sulla tastiera del mio portatile nella speranza che ciò che sto facendo sia valido.
Sono forse veramente brava a scrivere o è soltanto un’illusione che mi accompagna da anni?
E’ forse la scrittura l’unica cosa in cui riesco davvero a prodigarmi ed eccellere?
Questi dubbi mi attanagliano da almeno una decade: è possibile che io sia capace in una sola attività?
Come sempre il mio flusso di coscienza è ininterrotto, non mi lascia neanche dormire, e come al solito finisce per occupare il tempo che avrei potuto investire in altre attività: avrei potuto studiare, avrei potuto leggere un libro, avrei potuto suonare uno strumento o avrei anche potuto fare una passeggiata.
Il nodo che si fa sempre più stretto nella mia gola, quest’ultima sempre più secca, le mani che sudano e il cuore che palpita: il panico di non avere abbastanza tempo per riuscire a fare tutto ciò che è necessario compiere.
L’università che pretende, ma che allo stesso tempo lascia in balia di se stessi gli studenti, che non fornisce strumenti di supporto necessari affinché essi imparino e sfruttino l’ambiente come un luogo di cultura, ma che lo vedono soltanto come un mostro che li inghiottisce in una spirale di disperazione senza fine.
Prima di iniziare il mio percorso universitario avevo giurato che non mi sarei mai ritrovata in una situazione simile, che gli studenti che si sono tolti la vita a causa di quest’ultimo forse erano deboli.
D’altronde questa è la narrativa che mi è sempre stata pronunciata: “I giovani di oggi sono deboli! Una volta era tutto più difficile e nonostante avessimo ansia e contesti personali molto più complicati rispetto ai vostri, abbiamo portato a casa lauree a pieni voti! Se non siete in grado di sostenere l’università non meritate la laurea e non sarete nemmeno in grado di combinare qualcosa nella vita!”
Non posso fallire, non posso metterci più di tre anni per laurearmi, non posso prendere meno di 26.
Se prendo meno di 26 sono un fallimento?
Un 26 è simbolo della cultura di cui dovrebbe farsi garante l’ambiente accademico?
O forse non sono brava come pensavo, ma sono nella media, senza poter aspirare a un libretto costellato di 30.
Ecco, i miei pensieri sono tornati lì.
Io sono sempre stata nella media: con i voti a scuola, nelle mie passioni, nel modo di esprimermi e ormai sono convinta di non poter aspirare al meglio perché forse non sono fatta per essere in cima.
Forse sono destinata ad essere parzialmente brava.
Brava, brava, brava, ma mai bravissima.
Forse dovrei solamente dedicare più tempo alle attività che mi interessano per poterle padroneggiare.
La mancanza di tempo è un altro problema che tocca e disturba me e tutte le persone che hanno scelto di intraprendere un percorso di studi accademico: non è possibile sostenere uno stile di vita in cui si raggiunge l’apice dei trentesimi, si inseguono le proprie passioni, si ha una vita sociale e soprattutto vivere serenamente e senza stress.
L’università dovrebbe elevare, non distruggere.
Un esame che viene lasciato indietro, due esami che vengono lasciati indietro, tre esami che vengono lasciati indietro: non ho tempo per riuscire a recuperarli tutti e scrivere una tesi entro la fine dei tre anni.
Forse non è l’università che pretende che lo faccia in tempo e forse non sono nemmeno io che lo pretendo: forse è la mia famiglia.
Forse è la mia famiglia che non capisce che probabilmente non sono quella persona che si immaginano che io sia su un piedistallo perfetto, ma che non rispecchio.
Forse la mia famiglia non accetta il fatto che io possa fallire, che forse non sono come tutti gli altri che riescono a finire tutto nei tempi prestabiliti, forse mi ha sopravvalutata.
Forse semplicemente non mi conosce e non ripone fiducia nelle mie capacità, non stupendosi di un mio eventuale fallimento oppure considerando come tale un voto “più basso”, ricordandomi in realtà quanto io sia nella media.
Non crede neanche lei che io possa arrivare all’apice, umiliandomi e illudendomi del contrario, riempiendomi la testa di qualità che non ho: non sono intelligente, non sono disciplinata, non ho le capacità necessarie per poter essere qualcuno domani.
Perché mi avete messo al mondo?
Qual è il mio scopo?
Il mio scopo è desiderare di morire perché non riesco a rispettare le aspettative per inseguire una posizione lavorativa che deve fruttare uno stipendio generoso nel futuro in un mondo e un’economia che vuole sempre un divario più grande tra ricchi e poveri?
Se non raggiungessi l’apice sarei destinata a essere povera?
Forse dovrei combattere per cambiare questo mondo?
Perché mi avete messo al mondo per distruggermi?
Non ho nemmeno il tempo per concepire il mio ultimo atto.
Autore
Nicole Neva