(Prima nel sonno, quindi nella veglia, ho sognato per anni questo articolo. Un articolo che rappresentasse il mio cammino, le mie domande e, soprattutto, la mia incertezza. )
Devo ammettere, ai miei presenti e futuri lettori, che il mio primo scritto su questo giornale – che ho fondato con il cuore insieme ai miei amici e diretto con entusiasmo nei mesi scorsi – è stato, per me, motivo di non poche preoccupazioni. Anzi, direi moltissime. (Parma è una città complessa in cui lanciare un giornale, non trovate? Ma in fondo, quale città non è complessa?).
Nel tempo trascorso a lavorare sulle immagini, a parlare con la redazione degli articoli, con gli altri direttori del taglio giornalistico, a fare riunioni e chiamate, a sentire le voci che girano, vedendo il giornale che, mano a mano, prendeva forma e sentendo il peso dell’obiettivo che ci eravamo posti (l’indipendenza – non finanziaria, ma intellettuale – è una cosa seria), cercavo in ogni modo un tema di cui valesse la pena parlare. Lo volevo possibilmente non troppo discusso, magari che lasciasse spazio a un parere originale e forte.
Continuavo a pensarci, ma non lo trovavo. Però ero sereno: c’era ancora molto tempo prima della pubblicazione. La vita procedeva e io con lei, ricordando quello che la filosofia orientale descrive con una parola bellissima: il Tao. Cioè: tu mettiti in cammino.
Io è da molto che mi sono messo in cammino e ho capito che s’impara più dalla vita che dalle parole.
Entravo dentro l’ennesimo inverno, questa volta leggendo più che mai tutti i giornali, ascoltando le trasmissioni televisive fino a tardi, girando più conferenze possibili della città. A Parma, e in tutta Italia, di tutti i temi si parla profusamente. Instancabilmente, i pareri – autorevoli e non – sono versati a bizzeffe in ogni tipo di spazio, e le narrazioni di questi sono moltissime e disparatissime, a volte molto convincenti. Ho imparato, negli ultimi anni, che ogni tema è dotato di un doppio cuore: ogni tema ha una doppia narrazione: è duplice come ogni cosa creata da madre natura che, per darci un esempio concreto agli occhi, per farci abituare alla nostra ambivalenza, ci fa vivere le vita, i dolori, le gioie, dividendole tra la notte e il giorno.
Questo sovraccarico di opinioni, grida al megafono, sbuffi, risate, indignazioni, manifestazioni, commemorazioni, cerimonie leccate paganiniane, commenti offensivi, teatrini… oltre ad avermi provocato il mal di mare e il conseguente vomito, oltre ad avermi portato all’ubriacatura non poche volte e alla conseguente sconfitta a scacchi con gli amici, mi ha anche confuso terribilmente le idee.
Mi sono svegliato un giorno – era prima di Natale – e non sapevo più in cosa credevo.
Questo è un problema enorme per chi, come me, quando scrive, vuole essere sincero e sicuro.
È un problema enorme per un ragazzo come me, di sinistra, che non riesce a sposare una battaglia solamente perché tutti gli altri la sposano.
Mi continuavo a domandare: anche io devo aggiungermi all’infinita lista nominativa di quelli che vogliono dire il proprio parere sulla tal cosa? Che poi, anche se lo dicessi, è lo stesso parere che, l’altro ieri, Caio ha già illustrato benissimo. Io, al massimo, posso cambiare due o tre parole e vedere con chi voglio prendermela oggi: credo col capitalismo. Domani, con le nuove destre autoritarie in Europa (mammacheschifo!). Dopodomani, chissà. Magari la Cina, come ha fatto la Russia in Ucraina, invaderà davvero Taiwan e nessun modello economico al mondo si potrà più nascondere dietro ad una finta etica.
Dicevamo: la preoccupazione e i dubbi per questo articolo mi hanno attanagliato a tal punto che, la notte, non riuscivo mai a prendere sonno. Guardavo il soffitto per ore, sperando che, dalla finestra di camera mia, la luce del sole non facesse breccia prima che io, convinto, stabilissi cosa volevo scrivere e, soprattutto, il modo in cui volevo scriverlo (Voi non vi chiedete mai quanto è semplice, con una sola frase, essere fraintesi?).
A tal proposito, dovete sapere che, per settimane ho tentato di scrivere un articolo che legittimasse il Patto Atlantico e la nascita dello Stato d'Israele, ma ogni volta che ci provavo, mi accorgevo che le parole non erano quelle giuste... Ho abbandonato l’impresa perché ogni frase sarebbe stata fraintesa e io, per primo, rileggendole, mi fraintendevo. Perché in quelle frasi nulla avrebbe legittimato il genocidio compiuto da Netanyahu a Gaza. In quelle frasi, nulla avrebbe negato il mio desiderio di vedere lo Stato della Palestina, finalmente compiuto, sorgere dalle macerie.
Mi sono reso conto, alla fine, che io, di politica, ho capito solo una cosa: la guerra è sempre un massacro inutile, che toglie la dignità a ogni essere umano. Per tutto il resto, sulle politiche, sul potere, sull'Occidente, sull'Oriente, sull'Europa e sulla Russia, sulle destre e sulle sinistre, sul buono e sul cattivo… non riesco a stabilire nulla di certo. Eppure, nel mio disorientamento, ho trovato una verità: è proprio questa incertezza che dà senso alla mia scrittura. Non le risposte facili, ma le domande che rimangono aperte.
Beh, in questi mesi, all’alba – prima da dietro lo spigolo della montagna e poi in discesa morbida – il sole ha sempre fatto dolcemente breccia dalla finestra, senza che io fossi riuscito a stabilire niente.
Andavo in cucina disperato. Un caffè, una sigaretta e poi via, nelle strade sempre uguali e diverse di Parma. Solamente, ora, in maniera più fragile, con le scadenze degli articoli che s’avvicinavano e con qualche occhio adulto, orribile, tremante, irrequieto non-si-sa-per-cosa, puntato addosso severo come quello che una volta credevo fosse lo sguardo di Dio.
Ora penso che, se Dio esiste davvero, ha occhi più misericordiosi di quelli.
A me, certi adulti, fanno paura.
Dopo il tentativo su Israele ho scritto molto altro, passando da un’idea all’altra, da racconti brevi ad articoli di critica testuale, da pagine intere sui principi fondamentali della Costituzione a manifesti di valore civile. Di giorno in giorno cambiavo tema e stile, senza arrivare mai a una conclusione, senza avere preciso un obiettivo.
Ora, e ogni volta che mi trovo perso tra mille voci, so che alla fine sono i miei dubbi a dare forma a quello che scrivo. Ho deciso di fare qualcosa di diverso: questa rubrica, "Il mio svuotasche personale", sarà il luogo dove verserò ogni volta che perderò le mie convinzioni, tutto quello che mi resta. Cioè i miei dubbi. Forse, credo che provare ad analizzare questa confusione e raccontarla possa essere più interessante – magari anche utile – dell'ennesimo articolo già scritto milioni di volte e letto altrettante.
In questo disordine, provo a trovare un senso che mi guida. Un passo alla volta. Una parola alla volta.
La verità non la troverò, ma forse posso raccontare la ricerca di essa, senza paura di sembrare incerto.
In fondo, sono i momenti dove cadiamo, quelli di fragilità, quelli d’incertezza, a rendere le nostre voci uniche.
Autore
Alessandro Mainolfi