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Dopo 15 mesi dall'inizio del genocidio a Gaza, il cessate il fuoco è arrivato. Come conseguenza del cessate il fuoco, la situazione in West Bank è in costante escalation. Dall'inizio del cessato il fuoco a Gaza, assalti militari nel campo profughi di Jenin hanno causato la morte di decine di persone. Dall'inizio del cessate il fuoco a Gaza, diversi attacchi da parte di soldati ma anche di coloni nei villaggi limitrofi alle principali città in tutta la West Bank, sono all'ordine del giorno. Dall'inizio del cessato il fuoco a Gaza, l'esercito israeliano ha aumentato le politiche di punizione collettiva contro i palestinesi. I checkpoint e i cancelli sono aumentati come mai prima d'ora. I posti di blocco militari israeliani sparsi nella Cisgiordania occupata sono arrivati ad essere 898. L'esercito israeliano ha chiuso centinaia di questi posti di blocco, impedendo ancora di più la libertà di movimento ai palestinesi. I viaggi da una città all'altra, che dovrebbero durare 40 minuti, possono durare 8 ore per i palestinesi. Al Khalil, più conosciuta come Hebron, rappresenta una delle città palestinesi che, dopo gli accordi di Oslo II del 1995 che sancirono la divisione della West Bank in tre differenti aree (A, B e C), vive costantemente l'occupazione israeliana. Nella città vecchia, di fronte alla scuola che un tempo era frequentata dai bambini palestinesi, c'è uno dei negozi storici. Il proprietario mi mostra alla Tv appesa all'interno del suo negozio costernato di oggettistica ornamentale palestinese, il video del massacro del 1994 conosciuto come il massacro della moschea Ibrahim. Un colono estremista sionista, Baruch Goldstein, che viveva vicino a Hebron, a Kiryat Arba, il più grosso insediamento di coloni a Hebron, entrò nella moschea durante l'orario di preghiera nel mese di Ramadan e, armato di fucile, uccise 29 palestinesi, ferendone centinaia. Da quell'episodio la città vecchia ha cambiato volto. Il centro, un tempo fulcro della vita commerciale di Hebron, ha assistito ad un progressivo esodo della popolazione autoctona, ma anche a una radicale decadenza dell'attività commerciale a causa degli ordini di chiusura emessi dalle autorità militari israeliane a danno di centinaia di negozi. L'urbanistica della città vecchia è segnata da una netta separazione tra palestinesi e israeliani. Un mondo a due piani, con un filo che divide gli occupanti, sopra, dagli occupati, sotto. È la sola città, oltre a Gerusalemme, dove palestinesi e israeliani convivono separati. Qui, barriere di metallo, accompagnano la camminata dei passanti. I coloni che occupano le case in precedenza appartenute a famiglie palestinesi sono soliti lanciare oggetti (rocce e spazzatura) dall'alto dei loro appartamenti per intimidire e ferire i palestinesi. Inoltre, Al Khalil vive una divisione territoriale tutta sua, tra la zona “H1”, palestinese, e la zona “H2, israeliana, dove famiglie palestinesi convivono con più di 800 coloni israeliani. Anch'essa instaurata dopo gli accordi di Oslo II, la ripartizione della città avvenne per accomodare i coloni israeliani che già da anni cercavano di occupare con azioni violente il centro storico e religioso. Mentre un turista è libero di girare come e dove vuole, un palestinese che vive ad Hebron non gode del diritto di libera circolazione. Per andare nel luogo più importante a livello culturale, la Moschea Ibrahim, o per tornare a casa per più di 15.000 palestinesi è possibile accedervi passando da uno dei checkpoint presidiati dall'esercito, il che significa dover passare da una zona H1 a una zona H2. Farlo non è semplice e, spesso, dipende del soldato di turno. Dal 7 ottobre la vita per un palestinese in città è diventata ancora più complicata e in costante allerta. Essere esposti quotidianamente alla violenza e all'oppressione non è, però, la condizione nella quale i palestinesi accettano di vivere. Resistere all'occupazione avviene in tante maniere diverse. L'associazione Human Rights Defenders, che era abituata ad organizzare azioni pacifiche a sostegno del diritto all'autodeterminazione dei palestinesi, organizza attività di sensibilizzazione per giovani ragazzi che si domandano come fronteggiare questa privazione dei diritti. “Come si sente un uccellino dentro una gabbia”? Ha chiesto ad un gruppo di ragazze e un maestro di teatro. La domanda ha stimolato considerazioni personali di un vissuto quotidiano. Situazioni legate all'assenza di libertà di movimento che hanno vissuto, come stare dentro una macchina per 5 ore nella via di ritorno verso casa da Ramallah. “È come sentirsi sempre accerchiati da qualcosa che non ci permette di vivere serenamente la nostra vita” mi ha detto un signore.
“Esistere e resistere”, è scritto sui muri di Al Khalil.
Autore
Riccardo Cavallotti