Nel 1947, in seguito ai disastri atomici di Hiroshima e Nagasaki, gli scienziati della rivista “Bulletin of the Atomic” dell’Università di Chicago inventarono il “Doomsday Clock”. Tradotto: “l’Orologio dell’Apocalisse”. Sul suo quadrante le lancette indicano quanto l’umanità sia vicina alla catastrofe, e la mezzanotte rappresenta la fine del mondo. Ora: immaginiamo che la mezzanotte segni la fine del Governo Meloni. Dove sarebbero le lancette?
A porsi per prima questa domanda, nel suo podcast “Daddy Issue” per Feltrinelli, è stata la comica e scrittrice Giada Biaggi, che l’ha subito girata a Giuseppe Civati. La sua risposta è stata laconica: “Mezz’ora”. Un’affermazione scherzosa, certo, ma che ha un retrogusto amaro a cui non si può non smettere di pensare: L’ex deputato ha ragione? I fatti, per ora, dicono altro.
Ebbene: Meloni, dopo quasi tre anni di Governo, non ha perso il sostegno del suo elettorato. E ció si è visto soprattutto con le elezioni europee del 2024, dove a giocarsi il premio da protagonisti sono stati il Pd di Elly in ribalta, con il 24.1% dei voti, e una forte resistenza di destra composta prevalentemente dai meloniani (28,8%) e da qualche berlusconiano in preda alla nostalgia (9,6%). Tutto ciò, a due anni quasi (all’epoca), dalla presa al potere di Meloni, era già di per sé un fatto notevole. Certo, non solo in Italia sono anni duri per la sinistra. É forse scontato riportare questo trend, ma è bene ribadirlo: c’è sempre di più un contesto di desolazione e sfiducia da parte dei cittadini che ancora vanno alle urne, che ora più che mai, tendono a rifugiarsi nelle braccia calorose e stritolanti della destra.
Ma che cosa c’è sotto? Perchè noi Italiani abbiamo scelto, e continuiamo a scegliere, giorno dopo giorno, proprio lei? Tutto si regge sulla figura stessa della Presidente del Consiglio. Politicamente abile, capace di parlare con un linguaggio diretto e riconoscibile, Meloni mantiene un legame con una “sua” Italia che l’opposizione fatica persino a comprendere. Dietro ogni sua mossa c’è una strategia di comunicazione che le permette di apparire popolare e populista a seconda delle necessità. A volte incendiaria, a volte rassicurante, si muove con disinvoltura tra i due registri, tentando di dare l’impressione di prendere sul serio i problemi, le difficoltà e le sofferenze della parte di società che la vota. E ci riesce, questo è evidente.
Eppure, se si guarda ai risultati concreti, i riflessi del Governo Meloni sembrano più un esecutivo di galleggiamento, che di cambiamento. Le promesse elettorali più ambiziose sono state disattese, spesso per impossibilità politica. Anche l’atteggiamento anti-europeista che ha sempre mantenuto, per esempio, si è ridotto a un’opposizione simbolica alla ratifica del Mes e al mancato voto per Ursula von der Leyen, mentre, nei fatti, la premier si è tenuta al sicuro tra i confini dell’establishment europeo. La linea atlantista contro la Russia, poi, è stata adottata in un perfetto sistema di facciata, senza fare alcuna deviazione dagli schemi già tracciati dai nostri vicini di casa. La riforma fiscale, tanto sbandierata, è ancora un cantiere aperto, mentre il colpo più netto è stato inferto a misure bandiera del centrosinistra, come il reddito di cittadinanza. Che paura. Tutte le mosse della premier sulla sua scacchiera politica non sono state mosse con facilità, perché, bisogna dirlo: Meloni non è Berlusconi. L’ex Cavaliere era dotato di un carisma adolescenziale, una sete di consenso, e un’influenza economica e mediatica che gli permettevano di riscrivere il copione della politica a suo piacimento, mentre Meloni, dal canto suo, è meno appariscente, più calcolatrice. Tuttavia, non è nemmeno Renzi, un leader poco riconoscibile, che in pochi anni ha dilapidato il suo capitale politico, trascinando con sé il Partito Democratico in un vicolo cieco.
Le sarà possibile, con questo temperamento, compiere la sfida storica di completare i suoi cinque anni? Si tratta di un’impresa non certo facile, perché la politica italiana - si sa - è un campo minato, e perché la stessa Meloni potrebbe, a un certo punto, valutare più conveniente l’idea di un’uscita anticipata. Ma essere un primo ministro a compiere un’intera legislatura, in Italia, è qualcosa di straordinario e, con alle spalle la vittoria di Donald Trump alle elezioni americane, ora più che mai davanti alla donna, madre, cristiana, dovrebbe esserci una strada tutta in discesa. Sempre che la sua bambina non le chieda espressamente di ritirarsi, dato che era stata proprio lei a dire che non avrebbe avuto dubbi tra la scelta del ruolo di Presidente del consiglio e sua figlia.
Ma tic tac: il tempo scorre, torniamo al quadrante del nostro orologio dell’apocalisse politica. Scrutandolo, si nota che le sue lancette non sono così vicine alla mezzanotte. Anzi. E quindi, ora come ora, resta solo da chiedersi se, quando scatteranno, sarà la fine del Governo Meloni, o di qualcosa di ben più grande, che ha a che fare con il “Doomsday Clock” originale. Per una di quelle strane ironie della sorte, le loro lancette potrebbero addirittura coincidere. Chissà.
Autore
GMBi