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Preziosi lettori e preziose lettrici, per l’imperdibile occasione offerta da questo primo mensile in formato cartaceo, mi sono cimentato nell’ardua impresa di affrontare tra prosa e poesia il disorientamento esistenziale: un tema ancora oggi molto presente e sentito soprattutto dai “nuovi” giovani, in primis da me stesso, che consiste nella perdita progressiva di tutte le certezze e sicurezze che a primo impatto appaiono come eterne e imperiture ma che, con lo scorrere del tempo, volgono in oblio e totale spaesamento, cogliendo impreparato ciascuno di noi, costretto dunque a numerosi momenti di solitudine e di profonde riflessioni. I componimenti che ho scelto mirano a evidenziare la mia consapevolezza della presenza di tale condizione umana universale, con la quale è necessario convivere con estrema forza e pazienza. (le due poesie presentano una struttura metrica sciolta da qualsiasi vincolo, finalizzata a indicare, in perfetta linea con il tema appena esposto, la perdita di ogni coordinata stilistica, formale e metrica).
LA DECADENZA…
Il fiore quaggiù, che si erge sul maestoso verde,
mostra un'ombra, un tono, una traccia differente,
procede la stirpe mortale e un lume si disperde,
non ragionando che il fenomeno illude e sempre mente.
La natura, dell'eterno impone alla ragion il desiderio,
sfuggente e malvagio rende vano lo sforzo del finito,
stabilendo la legge della necessità come criterio,
contro cui alcun sospiro è mai sfuggito.
Colui che sovvertì tal ordine chiamavasi Ottaviano,
risuonava tuttavia l’eco antico e la sua valenza
così vide il tramonto persino l’immenso Impero Romano.
Di un equilibrio sanza morte vi è la totale assenza,
così il sole lascia brillare la luna sull'immenso piano:
dall'oro al ferro, ecco a voi la Decadenza!
SENTIRE LA PIOGGIA…
Cosa vi è laggiù? Un sussurro lontano
che bacia, mi sfiora, mi bagna la mano.
Perché non lo reggi, o mio occhio impreciso,
che dal senso più acuto sei sempre diviso?
Dall’alto a quaggiù arresta il percorso
e non resta più orma di questo discorso.
Neanche mi informa con quale pretesa
cela nel volto la goccia discesa.
Un male mi assale, il fiato mi manca,
coraggio e terrore convergono in sé
nell’anima spenta, sfinita, stanca.
Ragion mi dimanda: la pioggia dov’è?
Sventolai nel cielo un’insegna bianca
e allora risposi… essa è dentro di me!
Caro lettore, sei tu l’unico baluardo rimastomi per alleviare i timori mortali che rendono l’anima mia percossa da onde titaniche che si infrangono nelle lucide barriere del Genio interiore. Oggi quel folle e strano ragazzo era in cerca di certezze e verità, da poter osservare senza il filtro della luce solare e da poter sfiorare in modo deciso attraverso un’azione libera e autonoma. Era convinto che finalmente sarebbe riuscito a ricondurre i singoli frammenti sparsi all’unità originaria, minata dal disorientamento esistenziale che lo spingeva ad abbandonare l’impresa di stabilire il proprio ruolo all’interno dell’umanità, che da sempre trattava con disprezzo e indifferenza, considerandola come inutile e “fine a sé stessa” poiché dominata tutta da nobile violenza, validi piaceri, illusioni incorrotte. La ricerca passava dal conforto dei miracoli del quotidiano, che la Natura empatica offriva gratuitamente: il fermento interiore e le emozioni contrastanti si riflettevano nel moto confuso e burrascoso dei suoi maggiori ministri e rappresentanti, quali alberi secolari, cristalli di petali dischiusi e pennellate di grezzo smeraldo che allora parvero Aurore Boreali, Eucalipti Arcobaleno, Cerchi di Fate. Fu solo così che egli si sollevò dalla solita panchina su cui i pensieri e i supplizi (portatori di fragilità e insicurezze) si consumavano senza mai esaurirsi del tutto e intraprese il cammino verso una meta che non esisteva se non nella sua stolta mente: le gambe infatti procedevano senza controllo e il mantello che portava sempre alle spalle è come se gli offuscasse lo sguardo e la ragione, le cui uniche certezze erano finora individuate nelle preoccupazioni agitate del cuore, nel riflesso della Luna e delle stelle e nell’eco azzurro, immenso del cielo. Dopo non molte miglia alcuni lo videro indirizzarsi verso le umide sponde di un lago dove tese la mano (e accompagnò il gesto con un primo cenno di spontaneo sorriso) a un fragile uomo che si dissolse però immediatamente in granelli di polvere appena prima del solidale contatto. Inizialmente non si fece domande, ma tale disillusione prese forma compiuta attraverso l’osservazione del riflesso del lago, il quale non restituiva il ritratto della propria “moderna” figura, né proiettava ombra o immagine alcuna: il ventenne ancora troppo insicuro comprese dunque che si trovava soltanto all’inizio della conquista di respiri armoniosi e non affannati, di impressioni appaganti e non illusorie, seguendo le tracce del proprio inserimento all’interno del sussurro e del mormorio sociale. L’integrazione ormai era in procinto di avviarsi ed egli continuò incessantemente a camminare… nell’attesa, ora possibile, di correre... In conclusione, quell’assurdo pazzo si sentì leggero, come essenza di desiderio, attiva libidine, gratificata passione, ma purtroppo ancora scortato dall’onnipresente terrore di imbattersi nell’oblio dell’amara indifferenza e dell’inconcludenza dell’esistenza.
Autore
Samuele Castronovo