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Niente è da buttare. Sarebbe troppo facile tenere a mente, legato a noi stessi solo ciò che ci fortifica. Se ci “frammentassimo” cosa resterebbe di noi? Prima di realizzarci, prima di definirci esseri imperfetti, ci sono tante piccole imperfezioni, slegate tra di loro, che si incontrano nel ciclo della nostra vita. Non c’è motivo d’incontro, non c’è un appuntamento prefissato tra i frammenti. Ma sono sempre pronti ad aspettarci, a riemergere, pronti a tornare importanti, in prima linea, anche solo per una manciata di secondi. Se a raccontarli fosse una miniserie occuperebbero per ogni episodio molto meno spazio di quello che meriterebbero; se fossero descritte in un film prenderebbero tutta la scena, diventerebbero grandi, come il protagonista di un film da oscar, oscurerebbero il resto, come la gloria di un cantante di una canzone famosa, a discapito dell’autore originale. Ma questa è una raccolta, i Frammenti sono l’essenza della vita, devono avere lo spazio che meritano. Per questo escono tutte dallo stesso taccuino, e dedicherò il tempo ad ognuno di loro, riflettendo, respirando profondamente, per dargli dignità, arricchendo ogni particolare, tanto che in certi momenti avrò un forte affanno. Non saranno delle stelle o delle stelle del cinema perché non svaniranno. I Frammenti hanno il compito di restare per tutta la vita, per identificarci, per non perdere mai coscienza di noi stessi. Sono la parte più intima che nascondiamo, che ci rappresenta, che in cuore nostro ci fa sentire rappresentati. Sento la necessità di pubblicare me stesso attraverso questo giornale. Ogni articolo di questa sezione sarà tutto tranne che una maschera, sarà la parte più profonda e più gentile di me stesso, più vera e più nostalgica. Non saranno monotematici, anzi tutti i frammenti possederanno colore proprio, una piccola parte di vita vissuta, o il ripetersi di piccoli momenti, saranno una dichiarazione o un attacco o persino una denuncia. Il desiderio di pubblicazione è una continua lotta con me stesso: da una parte c’è il desiderio di raccontare apertamente una parte di me, come non ho mai fatto; Dall’altra parte c’è sicuramente l’insicurezza, che mi ha sempre contraddistinto. Di certo non ho più paura dei giudizi altrui. Ho perso tanto tempo per farmene una ragione; E di tutte le cose che ho fatto, scrivere è sempre stata l’unica soluzione, la strada da percorrere o quella già percorsa, la mia liberazione.
PRIMO FRAMMENTO <<Non ricordare più una voce>>
Vi siete mai soffermati a pensare alla voce di una persona a voi cara, quando vi viene detto qualcosa di carino o di cattivo, non fermandovi solo al contenuto, focalizzandovi sulla voce, su ogni suo particolare; Tanto da ricordarvi nei giorni successivi, di quel suono, provando magari ad imitarlo, o a ripeterlo costantemente, perché unico. Vorrei tornare indietro nel tempo per sentire la voce di chi oggi non c’è più. E’ surreale come si possa passare da sentire i racconti di una persona, tanto da perdersi, da addormentarsi e sognare, fino a non ricordarsi nemmeno più le sensazioni di ascoltare una voce, chiara, forte e avvolgente. Ricordo tanti episodi con mio nonno, come quando: tra le carte da gioco, una folata di vento inveii, sbattendo le finestre dalle serrande abbassate, mettendo a soqquadro il tavolo, lui si agitò; Perché sapeva che solo così avrei potuto vincere: imbrogliando. Ma non ricordo un suo rimprovero, come pronunciava a tono parole decise. Ho dei forti sensi di colpa per questa cosa, nonostante io sia consapevole di quanto amore abbia sempre provato nei suoi confronti. Purtroppo, non posso più dirglielo. Non c’è più, da otto anni. Otto anni fa ad aprile, se n’è andato in silenzio, lo stesso silenzio che mi è rimasto dentro; mi resta che scrivere. Scrivo tutto, con leggerezza, per liberarmi da pensieri che pesano come macigni, che mi divorano da quando sono un bambino. Questo è “Frammenti”. Dentro questa mia indagine interiore, ho avuto la fortuna di non sentirmi solo, ma di accompagnare alla mia scrittura, la lettura di una poesia. La poesia in questione è “La voce” di Giovanni Pascoli tratta da I Canti di Castelvecchio. Quest’opera ci aiuta ad entrare a gamba tesa dentro la sua poetica, preda del dolore e della morte. Il poeta rappresenta in questi versi un suono vuoto, un silenzio agghiacciante, che sottolinea l’angoscia dell’irriproducibilità, di una voce, di un’anima, che non esiste più, come quella del padre, mancato precocemente, quando l’autore era un bambino. Pascoli descrive tetramente come una bocca piena di terra non riproduce più un suono, la vita. Si nota in questi versi, la delusione nel poter solo nominare ciò che non si può più rivivere. Questa cosa lo distrugge, e anche se prova a dare ordine al caos attraverso la parola, trovare un rimedio è impossibile. Solo non essere lucidi ci può aiutare: come vivere un sogno. Ci aiuta il vero distacco dalla realtà, tutto ciò che della parola non è struttura, oggettività o natura, ma quello che è onirico e in parte, un piccolo scorcio della nostra memoria. L’autore accetta dolorosamente il suo destino e come tutto ciò che non è più attaccato a noi possa svanire.
“ La tua bocca! con i tuoi baci, già tanto accorati a quei dì! a quei dì beati e fugaci che aveva i tuoi baci Zvanî!”
Io veleggio nei miei sogni, perché non so vivere solo di memoria. I miei sogni a volte mi emozionano, i ricordi mi incupiscono, mi sbattono in faccia la realtà: niente tornerà come prima. Mi viene istintivamente più facile però scrivere di ricordi, che di sogni, come se a volte volessi, volontariamente, crogiolarmi nel dolore. Il sogno non è del tutto vero, lo si vive intensamente la notte, finisci per perderlo durante il giorno; quando pensi di poterlo ripercorrere, scopri che il suo contenuto non è mai totalmente corretto. Un ricordo vivido è una boccata di aria fresca o una spina nel fianco, ma in entrambi i casi è quasi sempre qualcosa a cui ci teniamo aggrappati. Ho tanti ricordi della mia infanzia con mio nonno, che mi rievocano, quanto fossi sereno con lui, quanto mi sentissi protetto tra le sue braccia; Eppure, non ricordo più la sua voce, in ogni suo particolare; Non bastano i ricordi, non basta l’immaginazione; non bastano persino le parole, anche se sento un leggero sollievo, mentre parlo di questo vuoto, che sento dentro di me. Mi rassegno e vivo a braccetto con il dolore, prendendolo sottogamba, quando lucido mi sovviene una memoria cristallina, di quegli occhi che parlavano, più di mille voci, e che mi curavano da ogni tipo di sofferenza.
Autore
Massimiliano Rossetti