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Cari lettori e lettrici, siete dinnanzi ad una storia che, seppur partita da lontano, tocca i cuori più prossimi, i cuori di tutti, anche quelli più affranti. È un racconto di ieri, di oggi ed è purtroppo preda del domani, perché tratta di un sogno, e i sogni, si sa, sono di tutti. Non scappano di certo dalle mani di un padre, dalla bocca di una madre. Rimangono eterni nei cuori di chi se ne prende cura. Però sono pure bastardi: mortificano chi non li raggiunge, esauriscono “la batteria” di chi li insegue perdutamente, spesso spaventano e vengono messi da parte da chi pensa di non riuscire ad esaudirli. E seppur si provi a star tanto attaccati a loro, i sogni hanno un altro grande difetto: svaniscono.
Una Donna e il suo dono hanno attraversato mille tratte aleatorie, mille paesaggi di trombe, archi e arpe. In un mondo di fandonie, la regola è una: aprire gli occhi per vivere, per rincorrere tutto quello che non possiamo controllare, tutto quello per cui bisogna lottare.
Il tempo, la famiglia e noi stessi. Sono tre pilastri della vita, che spesso si trovano su binari diversi, che non si incontrano. Oppure sullo stesso binario, ma con direzioni opposte, come due treni che finiscono per scontrarsi. E bisogna aggiungere che la nostra relazione con “il tempo” sembra essere direttamente proporzionale: più il tempo passa, più noi ci sgretoliamo. La relazione con la famiglia può avere tante sfumature: grigiastre, colorate, nere come la pece. Se dovessimo scegliere noi stessi o la famiglia, a cosa andremmo in contro? Perdere il possesso dei nostri sogni o abbattere barriere familiari per realizzarli? Noi stessi o gli altri? E se non ci fosse scelta!? Crediamo sia facile rispondere a questa domanda, ma, attraverso questa storia, voglio dimostrare il contrario. Attraverso la storia di una donna del Sud ed il suo sogno.
« Siamo tra gli anni Ottanta e Novanta e la campagna sicula è sempre meno verde ma sempre più cemento, come nelle più grandi città. Ma qui non siamo in mezzo ai palazzi, circondati dalle fabbriche o immersi nello smog, siamo in un paesino vicino al capoluogo di regione, fatto di casupole, cantine e campi. Le case sono così vicine tra di loro che parlare al telefono in mezzo ad una piazza crea più privacy, anche se una chiamata arrivasse nel cuore della notte, qua…pure gli “acieddri” parlerebbero. La “famigghia” è sacra, l’onore è una grossa responsabilità, se mancasse questo, niente avrebbe senso di esistere. Nei paesi nostri, tutto si fonda sulla terra, sul lavoro e sul benestare della “famigghia”, che significa portare a testa alta un cognome, senza vergogna, evitando il chiacchiericcio popolare. Svolgere sostanzialmente il proprio dovere già da più “picciriddi”. Il dovere di marito lavoratore, di madre casalinga e di brava figlia, studiosa ma fino ad un certo punto, emancipata ma fino ad un certo punto, intraprendente fino ad un certo punto. Essere una brava figlia cosa significa? Se conta solo un cognome, cosa siamo oltre a questo? »
La storia di Paola parte da qua. Sin da quando è piccola vive di musica, la ha nel DNA. Nipote di un lirico famoso, ma cresciuta in una famiglia modesta, fa i suoi primi passi nella musica già da piccolina, tanto da diventare per lei una passione, una costante della sua adolescenza e della donna che è oggi. Che insegue ancora un sogno, che è stato per lei sempre troppo lontano.
Quando era piccola sentiva dalla televisione le voci di Pavarotti e della Callas che la emozionavano. Sono stati per lei sempre dei punti di riferimento, perché per Paola “la lirica” era il futuro che l’aspettava: si immaginava nei teatri a cantare con la sua voce da Soprano. Si è sempre ispirata alla Callas, non solo per la voce magnetica, ma soprattutto per la sua forza di donna, che nonostante tutti i problemi (che l’hanno portata al ritiro, al rinchiudersi in un appartamento parigino), nei momenti peggiori, ha sempre trovato la forza di rialzarsi, di andare avanti. Continuò a girare il mondo, (quando tutto sembrava finito) portò ancora una volta la sua voce nei teatri, prima della morte tragica e inaspettata. Vittima dell’amore e della solitudine, quando cantava riempiva i teatri migliori del mondo, con la sua voce entrava in tutte le case, come con il suo amore tormentato, la Callas non era solo un grande esempio di donna, un’ispirazione per tutti, era soprattutto la regina della lirica.
Ci sono diverse cose che accomunano la storia di Paola a quella della Callas, come l’amore carnale per la musica, il desiderio di amare, di essere amata, di una famiglia. Per entrambe l’amore è stato deludente, un tormento. La musica l’unica salvatrice. Per entrambe una redenzione. Ma Paola non ha mai preso un volo di sola andata. Non è mai stata lontana dalla sua terra.
Stare a casa, accudire i genitori, il marito, pensare a fare dei figli. Questo è quello si prospettava nel futuro di Paola, anche se lei sognava altro: i grandi teatri, le primissime orchestre e i viaggi per il mondo, grazie alla sua voce, al suo talento. Nonostante fosse impresso in lei anche il desiderio della maternità, non aveva bisogno di un uomo per essere felice. Paola sposò un uomo, ma quello sbagliato, e il matrimonio s’interruppe prima ancora delle promesse, delle fedi. Lei rimase sola, senza marito, con solo la musica: la sua vita, Il suo primo amore, il miglior modo per distaccarsi dalla realtà. A cui però poteva dedicarsi meno di prima, perché doveva lavorare, aiutare in casa. Quanto sarebbe stato bello lavorare e guadagnare dei soldi con quello che la faceva stare meglio. Ma purtroppo non è mai stato cosi’.
Il suo rimpianto più grande: non essere mai partita, libera, senza cognome. Solo lei e la sua voce come unico documento identificativo, in giro per il mondo a cantare.
Il cognome è importante, lo si deve portare sempre a testa alta, come un omaggio al padre, alla propria famiglia. Ma spesso ti limita. Perché il mondo funziona al contrario, se fosse solo il talento l’unico criterio, anche gli stupidi avrebbero delle opportunità. Ma la musica è anche fortuna, conoscenze, etichette, promesse. Questo cognome ha intrappolato Paola, perché era lo stesso di chi non voleva il suo successo, di chi non voleva che i suoi sogni si esaudissero. Categoricamente, Paola non doveva avere un’occasione. Le strade per i teatri sono strette, non voleva ridursi ad uno spettacolo televisivo, ad un programma di ragazzini che fanno a gara di chi ha più contatti, lei voleva primeggiare con la sua voce, ma le antipatie, i problemi in famiglia glielo impedivano.
Lei su alcuni palchi non aveva il lascia passare, pure nei teatri del Nord, lontani dalla sua Sicilia, che mai davvero calcò, anche per paura della famiglia e della possibile distanza. Per una donna del Sud come Paola, lasciare casa sarebbe stato un dramma.
La parte “buona” della famiglia pensava di fare il suo bene, credevano potesse fare altro, creandosi un futuro senza la musica. Anche perché più erano le rinunce e i rifiuti, sempre di più si faceva tortuoso il percorso musicale.
Se canti e sei giovane hai molte più possibilità. Se canti e hai una famiglia che va contro i tuoi sogni, rischi di annullarti, rischi di fare solo il bene degli altri. E pensare che possa essere facile fuggire e crearsi una vita da sola senza la famiglia è da stolti. Soprattutto se la “famigghia” ha bisogno di un tuo aiuto, ti fa sentire necessario, ti crea delle insicurezze che non ti aiutano nelle decisioni, ma ti mortificano e basta.
In cuor suo, lei sa che avrebbe dovuto incaponirsi, fare il suo percorso senza dare ascolto a nessuno, ma solo chi è nato in mezzo a certi valori, senza prospettiva, con origini umili che hanno il sapore di terra, può capire quanto complicato possa essere. E, probabilmente, se davvero le fosse capitata un’occasione nella vita, lei avrebbe comunque fatto la scelta sbagliata. Ma anche se “la Paola bambina” non è mai salita sopra quel treno e non ha mai dato ascolto alla sua voce, il suo sogno non si esaurisce ora che è donna, adesso che le è tutto più chiaro. Per questo dico a lei, come a tutte le persone che credono di essere “finite”, di non darsi mai per vinti, di credere fino in fondo ad un finale migliore.
Se avete una passione, amatela fino in fondo, datele la possibilità di esprimersi. Non è mai troppo tardi per mettersi in gioco, nonostante un passato difficile, nonostante ci mettano con le spalle al muro e ci facciano sentire inutili e soli. Circondatevi di chi veramente vi ascolta, di persone che capiscono i nostri bisogni e sanno valorizzarci.
Poi magari il treno non passerà mai, ma avere il rimorso di non averci mai provato può solo che divorarci dall’interno. Sono felice che Paola mi abbia dato la possibilità di parlare della sua storia, come vittima di un sistema retrogrado, che purtroppo esiste ancora. La ringrazio, perché quanto emerge da questa intervista è frutto di una bella chiacchierata che non avrebbe mai fatto se non credesse più nei suoi sogni e nella sua amata musica. Proprio per questo spero che un giorno possa avere la sua possibilità, che qualcuno si accorga del suo talento, magari le stesse persone che hanno sempre avuto paura di accettare la sua vocazione. Paola non deve avere paura di sognare. I sogni sono linfa vitale e non sarà mai troppo tardi per viverli o scoprirne di nuovi. Il tempo ci sgretola, i sogni ci tengono vivi.
Intervista a P.A. - il sogno di una donna del Sud
Autore
Massimiliano Rossetti