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Ad oggi si parla spesso di “Resistenza”, soprattutto quando inizia a bussare alle nostre porte il mese di aprile. Davanti a tuttele chiacchiere che ne sono fatte, ho scritto queste righe quasi per necessità, essendomi domandata a lungo: che cos’è stata davvero la Resistenza? Imbattutami nelle Lettere della resistenza europea, sono riuscita in qualche modo a trovare parziale risposta a questa mia domanda.
È proprio sulla base di queste lettere che, ho provato a rispondere a questo interrogativo. Quali sono stati, dunque, i sentimenti che hanno mosso questi uomini, soprattutto coloro che sono arrivati a sacrificare la vita per la Resistenza?”.
Intendiamoci, comprendo pienamente l’enorme portata e complessità che comporterebbero eviscerare questo fenomeno a fondo: pertanto, il mio obiettivo è semplicemente quello di provare a comprendere, tramite gli occhi, i cuori e le lettere di chi vi ha preso parte, quali fossero i sentimenti predominanti nella lotta resistenziale. È dalle loro parole che parto ed è unicamente su di esse che, in questo caso, si baserà il mio certamente parziale commento.
In un clima di paura, repressione violenta e scontri sanguinosi, nulla più della strenue convinzione nei propri ideali poteva essere in grando di agire come forza generatrice di un movimento tanto potente e sentito come quello della Resistenza. La coscienza, coscienza di ciò che si ha attorno, degli squilibri del mondo e del mondo che ardentemente si desidera è il più potente carburante in grado di nutrire ideali ardenti come quelli che hanno animato gli animi in questi anni. Di fatti, coloro che lottarono per la Liberazione altro non erano che uomini comuni, dagli impieghi comuni e dalle vite più che ordinarie. Ciò che li differenziava dagli altri era la loro aspirazione ad un mondo migliore.
“Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita di schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo.” ( Pietro Benedetti, ebanista abruzzese.nota a piè)
Si tratta, dunque, di strenue opposizione qualsiasi tipo di oppressione e a tutto ciò che cerca, violentemente e non, di opporsi alla legittima libertà di ogni uomo. È una lotta di uomini liberi che si battono affinché tutti possano esserlo o tornare ad esserlo, indipendentemente dal credo religioso, dall’orientamento politico o dalla nazionalità. È lotta per la libertà, in qualsiasi forma questa si manifesti.
“Cara Nel, aiuta Paultje, che soprattutto non cresca con odio cieco contro il popolo tedesco. Se vuole vendicare suo padre, lo faccia contro la società corrotta nella quale viviamo e dalla quale è scoppiata la guerra con tutte le sue conseguenze, di cui è vittima anche il popolo tedesco.”(Jan Postma, tipografo olandese.nota)
È, di nuovo, guerra di ideali, non di odio: si combatte per la propria idea di mondo, non per soggiogare, sconfiggere altre popoli. I nemici non sono i tedeschi, i nemici sono coloro che, dall’alto, hanno privato i popoli della propria libertà, coloro che tentano di opprimerli. Anzi, il vero nemico risiede ancora più in alto di tutti quelli che sono alla guida di eserciti o nazioni: esso consiste nella società, deviata, corrotta, prima causa scatenante delle guerre e di tutto sangue versato, corrompitrice di uomini e valori. I tedeschi, in questo caso, ne sono vittime tanto quanto coloro che vi si oppongono. Nessuno è incorruttibile e gli artefici della Resistenza lo sanno bene: non provano rabbia, odio verso i loro avversari, bensì pietà per le loro assurde convinzioni dettate da una società deviata.
“E tu Mimi, sii coraggiosa e abbi la certezza che tuo padre è condannato a morte per aver tentato di salvare la vita di altri.” (Etienne Cariou, marinaio e pescatore francese.)
Pur sempre di sacrificio si parla: è un sacrificio sofferto non in quanto causa di morte, bensì in quanto ragione dell’abbandono dei propri affetti più grandi. Il dolore di questi uomini non era dovuto all’imminenza della morte: essa era una conseguenza quasi inevitabile, che solo i più fortunati riuscivano ad evitare e che tutti avevano messo in conto dal momento in cui avevano scelto da quale parte della Storia schierarsi. Morire per salvare la vita ad altre persone, invece, era quasi “doveroso”. La morte diventa così solo un piccolo prezzo che ciascun’uomo deve essere disposto a pagare per salvare e riscattare le vite di assai più persone. Il sacrificio del singolo, insignificante nell’insieme delle cose umane e dello scorrere del tempo, è necessario e inevitabile.
“Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol far più vittime possibile. Se vivrete, toccherà a voi rifare questa povera Italia […]. Sui nostri corpi si farà grande il faro della Libertà.”(Giordano Cavestro, studente di scuola superiore di Parma. nota)
A dominare gli animi è l’idea di un sacrificio che si configura quasi come un servizio all’umanità intera. Chi è morto per questo ideale, è morto nella convinzione di non essere mai solo e di non aver mai combattuto per una guerra individuale. Ogni caduto nel nome della resistenza sarebbe divenuto monito e, contemporaneamente, sprone per tutti coloro che dopo di lui si sarebbero battuti per la libertà. Ed è proprio l’unione, la coesione di ideali e soprattutto l’avere un obiettivo condiviso (la Libertà) ciò che rese la resistenza un movimento, un fenomeno realmente funzionante, potente. Perfettamente calzanti sono, a riguardo, le parole che Eusebio Giambone, tornitore di Asti, scrive a sua moglie dopo aver ricevuto notizia della propria condanna a morte:
“Sono così tranquilli coloro che ci hanno condannati? Certamente no! Essi credono con le nostre condanne di arrestare il corso della storia; si sbagliano! Nulla arresterà il trionfo del nostro Ideale, essi pensano forse di arrestare la schiera di innumerevoli combattenti della Libertà con il terrore? Essi si sbagliano!”(Eusebio Giambone, tornitore di Asti.nota)
Fortissimo è il senso di determinazione e fede che traspare, anche di fronte alla repressione e all'ingiustizia di una condanna, dalle ultime frasi di un uomo che, come tanti altri insieme a lui, era più che mai animato dalla fiducia per la propria causa.
“Durante la mia vita sono stato un combattente onesto, devoto, instancabile […] E quale sono vissuto muoio, perché so che la nostra causa è giusta e che la vittoria sarà nostra. Muoio e vivrò.”(Oleksza Borkaňuk, agricoltore cecoslovacco.)
“Vi sono nel mondo due modi di sentire la vita. Uno come attori, l’altro come spettatori. Io, senza volerlo, mi son trovato sempre fra gli attori. Ed anche ora, di fronte allo scempio della Patria, dei nostri focolari, delle nostre famiglie, io sentivo che era da codardi restare inerti e passivi.” (Pietro Benedetti, ebanista abruzzese)
“Gianna, figlia mia adorata, […], sarò fucilato all’alba per un ideale, per una fede che tu, figlia mia, un giorno capirai appieno.” (Paolo Braccini, professore universitario.)
Non importa che le ragioni che hanno mosso i singoli fossero di stampo morale, politico, sentimentale o un semplice desiderio di riscatto: ciò che da tutti è unanimemente condiviso è la convinzione che sia impossibile sottrarsi alla lotta, considerata doverosa per ciascun’uomo che desideri di potersi reputare retto e onesto. Di fronte alla patria in pericolo, di fronte al rischio di perdere la propria libertà e autodeterminazione, di fronte ai propri ideali minati alla radice, ognuno non ha altra scelta che insorgere per tentare con ogni sua forza di contrapporsi a sviluppi tanto spaventosi.
Se, come detto, la fiducia nei propri ideali era più potente del timore della morte, non è mai mancata, però, una certa rassegnazione. Si trattava, tuttavia, di una rassegnazione di fronte agli inevitabili risvolti della Storia, non di certo davanti ai soprusi degli oppressori.
“In piena tranquillità e con rassegnazione attendo la morte. Non sono un eroe, un martire, […] Sono una vittima di questi tempi terribili, come molte, molte migliaia prima e dopo di me. Ho dovuto morire perché la solidarietà umana mi era filtrata nel sangue.”(Franz Mager, falegname austriaco.)
Il percorso dell’uomo sulla Terra ha portato a picchi di tremenda violenza e a morti ingiuste, ma di ciò molti di questi uomini hanno consapevolezza: davanti all’ineluttabilità della Storia, nessuno può fare nulla in quanto singolo, se non combattere accettando l’eventualità della morte. Ciò che cambia il mondo sono gli uomini e gli ideali, che con la loro unione generano una forza tanto potente da capovolgere il corso degli eventi. È questa convinzione a dare ai “resistenti” la forza di affrontare la morte con serena rassegnazione: ciò che da loro è stato compiuto sarà eredità per tutti coloro che verranno in futuro; ciò che, al contrario, non sono riusciti a portare a termine, verrà compiuto da altri dopo la loro morte, che sarà per i posteri esempio e sprone.
“Tanta gente muore oggi e tanta ne morirà domani!” (Nikola Botušev, tipografo bulgaro.)
Certo è che sempre di uomini si sta parlando e, poichè tali, a permeare le loro giornate c’era sempre una consistente dose di dolore. Si trattava di un dolore dovuto alla lontananza, alla mancanza degli affetti; dovuto, talvolta, alla paura; dolore causato dal dolore che sapevano di star arrecando ai propri cari lontani. Uomini saldi sulle loro convinzioni, erano tuttavia l’opposto di imperturbabili ed inamovibili eroi; nulla avevano degli incredibili e mitici attributi che un certo tipo di narrazione sulla Resistenza avrebbe voluto e vuole tuttora attribuire loro.
Paura, rimorso, dolore e, talvolta, codardia, erano tutte emozioni, sentimenti che vivevano tra le fila della Resistenza tanto quanto il coraggio, l’ardore e lo spirito di sacrificio.
“Mia amata figliola Oliescka, avevi un anno quando la guerra spietata ci ha diviso. Tu eri la mia consolazione, eri la mia vita. Andando alla morte, il mio cuore sanguina al pensiero che non ti vedrò più.”(Oleksza Borkaňuk, agricoltore cecoslovacco.)
Gli uomini che hanno portato avanti la lotta erano padri, figli, mariti e fratelli lontani: è pensando a questo, alla distanza da casa, dalla famiglia e dalla loro quotidianità, ormai tanto remota da sembrare quasi un sogno, che possiamo davvero cogliere la profonda tristezza racchiusa in queste parole, in lettere simili.
È una sensazione assai strana essere rinchiusi in una stretta cella, separato da tutto ciò che si ama e che si ha caro su questa terra, e sapere: ciò che era, non sarà mai più. Dietro tutti i pensieri del passato e dell’avvenire, c’è l’inesorabile «mai più».
“Di fronte all’imminenza della morte, anche il più risoluto e inamovibile degli uomini vacilla, pur nella sua rassegnazione e nel suo coraggio. Uomini, donne e giovani certo valorosi ed arditi, ma pur sempre umani, carichi dei dubbi e dei timori che permeano la vita di qualunque individuo.”(Hermann Danz, fabbro tedesco. )
Giunti alla fine di questa breve intrusione nelle vite e nelle passioni di coloro che per la Resistenza hanno combattuto, non mi resta che un’ultima riflessione. Leggendo queste lettere, sono stata travolta da un fiume di emozioni, ideali, tormenti ed angosce. Tuttavia, ciò che più di tutto mi ha sorpresa è stato l’inaffondabile e straordinario senso di ottimismo diffuso tra questi uomini. Sia coloro che fermamente credevano di star morendo per un’ideale ed erano pertanto sereni, sia i più addolorati e straziati all’idea della morte, condividevano in fondo lo stesso, incredibile ottimismo. A nutrire questo potente sentimento era la certezza che, con o senza di loro, indipendentemente dal loro dolore, la loro lotta avrebbe raggiunto il suo scopo, la libertà avrebbe trionfato e l’Italia sarebbe stata affrancata da coloro che cercavano di soggiogarla.
E la lotta per la libertà, in qualsiasi forma, aspetto o tempo essa si presenti, credo sarà per sempre l’unica lotta per cui non si potrà né dovrà mai smettere di combattere.
Oggi più che mai urge essere in grado di opporsi, con ogni mezzo si possieda, alle ingiustizie e ai soprusi. In un mondo tanto abituato ad osservare in silenzio, come spettatore muto, tutto ciò che accade ad altri, lontano da noi, nell’assurda convinzione che finché non ci tocca direttamente non ci riguardi, è importante reagire, combattere, arrabbiarsi: essere quello che Calvino definiva “forze storiche attive”.
Resistere, in fondo, significa soprattutto questo.
Autore
Sofia Berna