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Occhi rossi di stanchezza che diventano lucidi, scende qualche lacrima. Nel freddo della notte il calore della speranza riscalda i volti provati dal cammino: le luci della città tingono il mare, un quadretto sfocato in cui tracciare i propri sogni, Trieste è proprio bella di notte.
Il gruppo di persone che osserva commosso si stringe in un abbraccio collettivo.
“L’Italia, finalmente”, pensa qualcuno. “Il game è terminato, ce l’abbiamo fatta”.
Arrivare a Trieste non è stato facile, non lo è per nessuno di coloro che affronta il cosiddetto “Game”, il difficile cammino tracciato nella rotta balcanica.
Le persone in movimento che affrontano questo viaggio provengono dal Medio Oriente, la maggior parte da Afghanistan, Pakistan e Turchia, la prima tappa del percorso.
I paesi che sono costretti ad attraversare a piedi sono diversi: dopo la Turchia si passa per la Grecia, poi ci sono Bulgaria, Macedonia, Bosnia, Croazia, Slovenia. Gli ostacoli del cammino sono molteplici e si imprimono a vita nelle persone, in modo così invadente che è lo stesso corpo a segnalarli.
Le prime cose che sorprendono i soccorritori sono le ferite ai piedi e le scarpe ormai inutilizzabili di chi arriva. Tagli infettati e sanguinanti, un gonfiore atroce e grandi vesciche dovute alla strada impervia, battuta dalle persone stesse e piena di rami e spine.
Osservando bene a prima vista si possono anche notare i graffi sul volto lasciati dai rami sporgenti dei sentieri non battuti, segni di boschi angusti e notti passate al gelo.
Le ferite peggiori tuttavia sono quelle nascoste: quando alle persone vengono dati nuovi vestiti puliti e quelli strappati del viaggio vengono riposti, si notano dei segni particolari.
C’è chi ha ancora, ormai cicatrizzati, dei segni di denti. È difficile indagare, uno penserebbe a degli animali incontrati nel sentiero.
Ma gli animali, pensandoci, scappano. Sono gli uomini i bestiali che scagliano i cani su chi varca i confini. Cani della polizia, spesso della Bulgaria, addestrati per accanirsi sulle persone.
C’è poi chi presenta delle grandi croste, pelle viva, bruciata.
Raccontano che anche questo strazio è opera della polizia, questa volta croata, conosciuta per la sua fredda e repressiva violenza.
Non è raro sentire da chi riesce a superare la Croazia di essere stato umiliato, picchiato.
“Non ci hanno dato la possibilità di dire nulla quando ci hanno preso. Hanno subito iniziato a colpirci. Mentre ero sdraiato a terra, mi hanno colpito in testa con il dorso di una pistola e ho iniziato a sanguinare. Ho cercato di proteggere la testa dai colpi, ma hanno iniziato a calciarmi e colpire le mie braccia con bastoni di metallo. Sono stato in preda al panico per tutta la notte."
“Sono stati sbalorditi dalla nostra condizione. Siamo stati inzuppati di sangue e molto agitati. Abbiamo potuto a malapena stare in piedi, per non parlare delle ore di cammino verso la Bosnia. Ma ci hanno detto di andare. Ci hanno detto di portare i ragazzi che non potevano camminare e semplicemente andare."
Queste sono solo alcune delle violenze raccontate da chi ha vissuto sulla propria pelle queste torture, come anche chi racconta di essere stato bruciato con un oggetto di metallo ardente schiacciato sulla carne.
Dopo tutto questo, dunque, si arriva a Trieste.
“In quel momento dalla montagna si vedevano le luci della città nell’acqua. Vederle è stato un momento di grande felicità nella mia vita. Dal confine, dall’alto, di notte Trieste è molto bella”, racconta un sopravvissuto al viaggio intervistato nel documentario di Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore che prende proprio il titolo di “Trieste è bella di notte”.
Trieste rappresenta la luce del viaggio, una speranza di riscatto.
Come si fa a dire che anche in Italia la vita non sarà facile a chi ripone ogni speranza in quelle luci riflesse nel mare?
Secondo il report di Linea d’Ombra, organizzazione che si occupa dell’accoglienza delle persone che arrivano dalla rotta balcanica a Trieste, nel corso del 2023 sono arrivate circa sedicimila persone. Di queste solo il 16 % ha intenzione di rimanere in Italia, gli altri proseguono il viaggio in altri paesi Europei, i più sognati sono Francia, Germania e Belgio.
L’accoglienza di queste persone è affidata principalmente all’azione dei volontari: le istituzioni ignorano le richieste di aiuto.
Chi arriva chiede soltanto un posto in cui dormire, qualcosa da mangiare, chiede solo di passare una notte in pace.
Si trova invece, anche qui, a doversi arrangiare. I posti nei dormitori sono pochi, va cercato un posto in cui dormire: una parvenza di sicurezza si era trovata nel vecchio Silos di Trieste, un posto occupato dalle persone per sostare la notte.
Nel giugno del 2024 anche questo accampamento, su ordinanza del sindaco di Trieste, è stato sgomberato, costringendo le quattrocento persone che avevano lì le tende a dormire a cielo aperto, ancora una volta, come spiega in un articolo di Internazionale la giornalista Annalisa Camilli.
La paura più temuta però è il respingimento. Si accetta tutto, pur di non tornare indietro. Eppure i respingimenti ci sono, e l'illegalità di alcuni di questi da parte di paesi come la Croazia, la Bosnia e anche l’Italia, con il silenzio complice dell’Unione Europea, è stata denunciata dalle organizzazioni per i diritti umani
Ma come si può raccontare tutto questo a chi è scampato ad un viaggio così e ora vede la strada in discesa?
Non può essere anche questa una responsabilità che grava sulle persone che si muovono, siamo noi a dover ricordare alle nostre istituzioni che la legge va rispettata. Che il diritto all’accoglienza è sancito dalla costituzione, non è un gesto di buonismo.
Trieste va resa bella, non solo di notte.
E a queste persone, possiamo solo augurare buona strada.
Autore
Anita Riccardi