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I Centri Giovani sono, per definizione, servizi di educazione informale pensati per offrire opportunità reali a tutti i ragazzi, soprattutto a quelli che non hanno accesso ad attività, spazi e figure educative al di fuori della scuola.
Parma, negli ultimi anni, è stata un raro esempio virtuoso: poche città italiane possono vantare un Centro Giovani per ogni quartiere. Una ricchezza che ha permesso di costruire comunità più solide, prevenire la dispersione scolastica e intercettare i bisogni degli adolescenti nei loro contesti quotidiani. Questi spazi, gestiti da cooperative tramite bandi pubblici e coordinati dal settore Politiche Giovanili del Comune, hanno sempre avuto un tratto distintivo: la presenza degli educatori. Non semplici “operatori”, ma figure capaci di accompagnare i ragazzi nel delicato passaggio dall’infanzia all’età adulta, essendo un punto di riferimento esterno alla famiglia ma comunque stabile, competente e presente. Senza questa figura, un Centro Giovani perde il suo cuore pulsante. Ogni spazio ha sviluppato una propria identità: Montanara è nato come centro musicale; il Federale ha una forte vocazione sportiva; Casa nel Parco ha saputo costruire un percorso basato su creatività digitale, network internazionale, sostenibilità e volontariato; Esprit è focalizzato su intercultura, creatività e inclusione. Indebolire queste identità significa non solo togliere ricchezza educativa ai ragazzi, ma anche impoverire quartieri interi come San Leonardo, dove due istituti comprensivi hanno sempre collaborato strettamente con il Centro Giovani. Sul sito del Comune, la nuova proposta dell’assessora Beatrice Aimi parla di “hub di comunità” aperti, inclusivi e flessibili, dedicati alla creatività, alla cittadinanza attiva e al benessere psicofisico. Una definizione che può anche sembrare affascinante, ma che ignora un aspetto essenziale: la differenza profonda tra un Centro Giovani e un hub. Gli hub sono spazi utili soprattutto ai giovani adulti, con coworking, mostre e dibattiti. Ma sono strutture molto più autonome, dove la figura educativa è marginale o addirittura assente. Il rischio è evidente: trasformare luoghi di crescita in salotti culturali per una fascia 18–35, lasciando gli adolescenti senza uno spazio adatto alla loro età e ai loro bisogni. Qui nasce la domanda fondamentale: il Comune crede davvero che gli adolescenti di Parma non abbiano più bisogno di educatori? La motivazione dell’assessora per questa riforma sarebbe un presunto calo di partecipazione nei Centri Giovani. Eppure i dati della cooperativa che gestisce Casa nel Parco raccontano l’esatto contrario: 2023: 1.445 ragazzi coinvolti, 61 attività strutturate. 2024: 5.400 ragazzi coinvolti, 45 attività strutturate. Si tratta di un incremento del 245%. Numeri che parlano da soli e che smontano completamente il racconto della “scarsa partecipazione”. Se questi sono numeri bassi, allora dovremmo ridefinire il concetto di successo. In un documento del Comune si legge inoltre che i giovani devono essere “valorizzati, non controllati”.
Una frase che lascia intendere che l’assessora percepisca la presenza educativa come un controllo. Ma chi vive i Centri Giovani sa che non è così: gli educatori non controllano, accompagnano.
Il nodo più delicato riguarda la fascia delle scuole medie, completamente esclusa dal nuovo modello.
E qui voglio riportare fedelmente ciò che è accaduto al Convegno sul Benessere Giovanile. Quando ho fatto notare all’assessora che, con la trasformazione in hub, i ragazzi delle medie sarebbero stati esclusi da qualsiasi forma di educazione informale pomeridiana, la sua risposta è stata che “i ragazzi delle medie hanno già tantissime opportunità, perché l’Emilia-Romagna stanzierà fondi per tenerli a scuola anche al pomeriggio.” Una risposta che, detta così, mi ha lasciato davvero perplesso. Perché se un ragazzo vive situazioni difficili a scuola – bullismo, ansia, isolamento - tenendolo più ore dentro lo stesso contesto problematico non si migliora il suo benessere: lo si peggiora. Il pomeriggio, per molti, è l’unico momento di respiro. E un Centro Giovani è spesso l’unico posto dove possono sentirsi visti senza sentirsi giudicati. Se davvero il problema fosse la poca conoscenza dei Centri Giovani, la soluzione non sarebbe stravolgerli, ma pubblicizzarli meglio, fare rete con le scuole, promuovere iniziative nei quartieri. Casa nel Parco ha già mostrato una strada possibile: mantenere gli spazi pomeridiani per i giovanissimi e ampliare l’offerta serale con eventi per un pubblico più adulto, creando continuità invece che fratture.
Le scuole hanno sempre rappresentato il principale canale d’accesso ai Centri Giovani.
Perdere questa collaborazione sarebbe un danno enorme per la città — andrebbe evitato a maggior ragione da un’assessora con una significativa esperienza nella dirigenza scolastica. Chi più di lei dovrebbe conoscere il valore delle alleanze educative? Questa manovra, pur presentata con intenzioni apparentemente nobili, rischia di creare un vuoto educativo per un’intera fascia d’età, lasciando i più giovani senza spazi sicuri e costringendoli a rimanere tutto il giorno in contesti formali che non sempre sono sani per loro. La riforma va rivista con urgenza. Non per nostalgia, non per resistenza al cambiamento, ma per giustizia verso quei ragazzi che, oggi più che mai, hanno bisogno di luoghi in cui crescere, essere ascoltati e diventare cittadini consapevoli. Perché la voce dei giovani è forte — quella di tutti i giovani. Queste parole arrivano dalla mia esperienza quotidiana nei Centri Giovani. Non vogliono essere la verità assoluta, ma il contributo di chi quei luoghi li vive dall’interno.
Autore
Harmanpreet Singh