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Non tutti i racconti a lieto fine iniziano nel migliore dei modi. È questo il caso della favola di Niki Lauda, un esempio di come, nella vita, non si debba mai rinunciare ai propri sogni, continuando ad inseguirli anche quando ormai sembrano perduti. Con questo tuffo nel passato riviviamo insieme la leggenda di Lauda, pilota capace nel corso della sua carriera di innalzarsi ad icona e leggenda della Formula 1.
I genitori di Niki Lauda avevano visto per il loro figliolo un futuro tra grandi aziende, fogli, contratti e fiumi di denaro. Una tradizione familiare da mantenere, con il piccolo austriaco che intravedeva davanti a sé un futuro a capo della catena di fabbriche di carta posseduta dalla sua famiglia.

Tuttavia, il cuore chiamava e scalpitava, e a Niki, quando capitava di sentire in lontananza un motore che ruggiva, si riempiva l’anima. Un’attrazione che lo portava ad emozionarsi alla sola idea di dominare il vento, ammaliato dalle imprese del suo idolo Jochen Rindt.
Sono stati i primi scellini spesi per una VW Cabrio a far comprendere al mondo che lo circondava quanto fosse serio Niki nell’inseguire il suo sogno, e ne è stata un’ulteriore dimostrazione anche il tirocinio formativo come meccanico, portato a termine in brevissimo tempo. Il primo assaggio di asfalto da gara, invece, è arrivato a bordo di una Mini Cooper S, a Mühllacken, dove il neo diciottenne si era guadagnato un discreto secondo posto. Quella sensazione di potenza che l'aveva accompagnato durante il suo primissimo ballo, lo porterà per mano durante tutta la sua vita, nonché in ognuna delle occasioni in cui l’austriaco salirà su una vettura da corsa.
Le sue esperienze nelle categorie inferiori non sono state certamente tutte rose e fiori a livello di risultati. Per partecipare alle competizioni, di fatto, Niki aveva dovuto pagare svariati sedili, passando dalla Formula V alla Formula 3, categoria in cui nel 1970 il giovane Lauda aveva compiuto il suo esordio al volante di una McNamara. Era l’inizio di una lunga concatenazione di eventi che l’avrebbero portato, via via, sempre più vicino alla Formula 1.
Purtroppo per lui, le vetture con cui aveva preso parte alle corse in quegli anni non erano esattamente dei bolidi in grado di competere per posizioni di rilievo, e così quell’immenso potenziale nelle mani dell’austriaco non aveva mai avuto la possibilità di esplodere e venire alla luce. Indubbiamente, quello, è stato uno dei periodi più bui dell’allora giovane carriera di Niki: infatti, nonostante quest’ultimo provenisse da una famiglia ricca, i debiti avevano avuto la meglio e, inoltre, per come stavano andando i risultati, quasi nessuno avrebbe scommesso un euro su quel ragazzo. Era quasi giunto ad un punto di non ritorno, ma come un fulmine a ciel sereno, un’offerta irrinunciabile per correre nella massima categoria era arrivata presso la casella postale di Lauda. Proveniva dalla March, scuderia per la quale aveva corso in Formula 2, in seguito ad un prestito bancario ottenuto grazie alla stipulazione di un’assicurazione sulla vita.
Nonostante l’occasione d’oro di correre un Gran Premio di Formula 1 nel 1971 proprio con la March, il week-end si rivelò un disastro: una partenza in ultima fila e un ritiro per problemi al cambio avevano fatto sfumare le ambizioni di Niki, il quale non avrebbe mai creduto di poter guidare per tutta la stagione del 1972. Ma il destino è imprevedibile, e la vita spesso è in grado di sorprenderti e ripagarti. Così, quella stessa scuderia, la March, aveva deciso di prolungare il suo contratto anche per l’intera annata successiva, consentendo dunque all’austriaco di realizzare il suo sogno. Era diventato un pilota di Formula 1.

Durante quell’anno, come d’altronde in tutta la sua carriera, Niki non collezionò altro al di fuori di ritiri e di miseri piazzamenti che non lasciavano ben sperare per la stagione successiva, ma, nonostante avesse avuto un’annata estremamente al di sotto delle sue capacità, Lauda aveva ugualmente generato curiosità all’interno del paddock, ambiente in cui non erano in pochi ad aver notato il suo talento.
Storicamente, in Formula 1 i soldi hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nel funzionamento del Circus. Così, dopo aver richiesto l’ennesimo finanziamento ad una banca, il giovane viennese aveva ricevuto l’ok della BRM per gareggiare nel 1973. Questa volta l’occasione era decisamente più ghiotta, e il talento fino a quel momento nascosto iniziò finalmente a fare capolino. Ne furono la dimostrazione il quinto posto in Belgio e la gara dominata in prima posizione sotto il temporale in Canada, dalla quale però Lauda fu costretto a ritirarsi per dei problemi alla trasmissione.
Tuttavia, la vera consacrazione arrivò nel 1974, quando Clay Regazzoni, compagno di squadra di Niki, che aveva raccomandato ad Enzo Ferrari il nativo di Vienna, convinse il Drake a tal punto da fargli prendere la decisione di portare il giovane Lauda a Maranello. In quel momento ha inizio un’ascesa leggendaria, capace di innalzare Lauda sulle vette dell’Olimpo dei vincenti. Vinse il primo titolo mondiale nel 1975, proprio a bordo della Rossa, ma le sfortune non smettono mai di cessare, e quando tutto sembra essere perfetto, ecco che la vita ti serve il conto, dopo averti dato tutto, è capace di trascinarti con sé nel baratro più profondo.

Nel 1976, stagione in cui si trovava nuovamente al comando del Campionato del Mondo, si consumò una tragedia che segnò per sempre il destino di Niki. In Germania, al Nurburgring, il circuito in assoluto più difficile al mondo, una pioggia torrenziale inondò la pista qualche ora prima della gara, rendendo ancora più ostiche le condizioni. Lauda si ritrovò costretto ad un cambio gomme anticipato, gli pneumatici da bagnato che aveva montato non funzionavano come si sarebbe aspettato, e gli altri piloti, che con un azzardo avevano montato gomme morbide d’asciutto, stavano volando. Così, dopo aver pareggiato la strategia degli altri, Niki provò a recuperare tutto il vantaggio perso, spingendo e non risparmiando nemmeno un centimetro d’asfalto. Fu proprio in quel momento che a seguito della poca aderenza data da una temperatura troppo bassa delle sue gomme, si innescò una carambola micidiale che vide l’austriaco vittima di un terribile incidente. La sua monoposto sbandò, vorticando sulle barriere, in un impatto mostruoso. Niki perse il casco nell’impatto e la sua vettura prese fuoco lasciando il suo condottiero solo in mezzo ad un inferno d’olio e di fiamme.

Le ferite furono quasi letali, rimase sfigurato in volto e le bruciature in tutto il corpo portarono tutti a credere che non ce l’avrebbe fatta. Ma a seguito di interventi, di giorni di indicibile dolore, piano piano, Niki, riuscì a risollevarsi, come aveva sempre fatto, vincendo il fuoco, vincendo l’inferno, dimostrando ancora una volta di quanto la fame e l’amore possano fare la differenza quando tutto sembra perduto. Tornò in pista quello stesso anno, era un altro Niki, un altro pilota, un’altra persona, inevitabilmente l’inferno ti cambia. Quell’anno, nonostante il vantaggio, non riuscì ad aggiudicarsi l’Iride, vinto poi dal rivale di una vita, James Hunt.

Nonostante tutto però, l’austriaco non mollò, si ricostruì dalla propria cenere, si guardò allo specchio, vide la sua pelle consumata, distrutta, e decise che quella non sarebbe stata la fine della sua storia. Così, con resilienza continuò a fare quello per cui era venuto alla luce, correre, e vincere. Vinse il secondo titolo con la Ferrari l’anno dopo, nel 1977 e chiuse la carriera vincendone anche un terzo, nel 1984, a bordo della McLaren.

Quell’austriaco mangiato dal fuoco era diverso da tutti; possedeva una forza sovrumana, uno studio del dettaglio che andava oltre ad una semplice concentrazione, una perizia in quello che faceva da fare invidia ai migliori meccanici, una testa da far paura, ma, soprattutto, tanto, tantissimo talento. Questo era Lauda: una macchina, un computer. Elaborava migliaia di dati per forgiare il giro perfetto, per valutare come effettuare un sorpasso, per capire come gestire le gomme e come trattare il volante. Aveva la straordinaria capacità di saper mettere tutte le informazioni insieme e in questo modo di trasformarsi in un animale da gara, senza concedere nulla ai rivali, inseguendo il vento e assaggiando l’adrenalina che esso conferiva.
Quella di Niki è una storia che merita di essere raccontata a qualsiasi appassionato di Motorsport, a dimostrazione di quanto la sua ferrea tenacia sia stata una costante non banale per renderlo il mito che oggi ammiriamo. Una vita segnata dalle fiamme di quel pomeriggio estivo del 1976. Una vita che, come ha saputo regalargli tre titoli mondiali, ha anche saputo metterlo all’angolo più volte, senza però mai riuscire a sferrare il colpo di grazia.
Sfortunatamente, il destino beffardo, per lui, ha scelto un finale diverso da quello che tutti ci aspettavamo, portandolo via per sempre il 20 Maggio 2019, quando l’austriaco aveva da poco compiuto settant’anni.

Oggi, se parliamo di speranza e resilienza, non possiamo non ricordare e celebrare una leggenda dello sport, un uomo che ci ha insegnato ad andare sempre oltre alle apparenze e che ha ricordato a tutti noi, quanto sia importante essere sempre sé stessi, anche quando gli altri ti giudicano per come appari, anche quando sei riuscito a riemergere dall’inferno, anche quando nemmeno tu sei in grado di crederci più.
Autore
Giuseppe Serra