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Anita ha 8 anni. Si guarda allo specchio. Con i suoi occhi di bambina studia attentamente il corpo che ospita la sua ancora breve vita. Non si piace. Inizia a pensare che vorrebbe essere diversa. Allora chiude gli occhi e prega. La sua è una richiesta egoista, lo sa bene. Non prega per la pace nel mondo o la salute di qualche familiare. Chiede di svegliarsi diversa l’indomani. Più bella.
Anita ha 10 anni. A scuola il maestro di ginnastica dedica una lezione all’importanza del condurre una vita sana. Decide di misurare l’altezza e il peso della classe e sentenziare chi va bene e chi no. Anita ha paura che arrivi il suo turno. Sa di essere un po’ diversa dalle altre bambine, più “in carne” insomma. Ne è consapevole. Glielo ricordano le risatine degli altri bambini e i commenti dei parenti. Il maestro la chiama, tocca a lei. Chiude gli occhi e respira. Anche lui oggi le ricorderà che il suo corpo non va bene.
Anita ha 11 anni. Ha iniziato le scuole medie e confronta spesso il suo corpo con quello delle amiche, delle compagne di scuola. Ad ognuna vorrebbe rubare qualcosa del loro aspetto e metterselo addosso, come un nuovo vestito.
Anita ha 12 anni. Ha deciso. Deve cambiare il suo corpo. Deve iniziare a mangiare di meno. Meno pasta, meno dolci, meno tutto. Inizierà piano piano, togliendo un po’ di cibo dal piatto. Di nascosto, ovviamente. Chi è vicino a lei non deve accorgersene. Si sarebbero tutti allarmati del suo comportamento anomalo, che è invece normale e giusto. Sa bene quando fermarsi. È una ragazzina intelligente, o, almeno, così le dicono. Non è nella situazione di quelle ragazze con gravi problemi con il cibo. Questo no, non è assolutamente il suo caso. È tutto perfettamente sotto controllo. E Anita ne è contenta.
Anita ha 13 anni. Il suo corpo è finalmente cambiato. Non è ancora a posto, ma ci sta lavorando. Duramente. I soliti jeans le stanno larghi. I polsi, che misura cingendoli con le mani, sono sottili sottili. Sente la fame dentro di sé e questo la fa sentire forte perché riesce a tenerla a bada. Sa che è cambiata, glielo dicono gli occhi di chi le sta accanto. Sono il suo specchio preferito. Ma se all’inizio le dicevano che finalmente stava bene, che lo sviluppo l’aveva portata ad una misura adeguata, ora con il passare dei mesi, la guardano con preoccupazione. Si sta assottigliando sempre di più. Il suo corpo, che dovrebbe fiorire in questo momento della vita, sta appassendo. Hanno provato a dirglielo timidamente anche le sue amiche. Anita ora sa di essere controllata. Portare avanti la sua missione sarà sempre più difficile adesso, ma non importa. Non ha finito, c’è ancora molto da fare e sta diventando ogni giorno più brava. Riesce a mangiare sempre meno e conta perfino le gocce d’acqua. Le piace portare il suo corpo fino allo sfinimento, tanto da sentire le gambe cedere e la vista annebbiarsi. Il numero sulla bilancia, che ossessivamente controlla più volte al giorno, continua a scendere. E così deve continuare a fare. La testa di Anita è buia e incasinata. Sente dentro di sé una grande tristezza mista ad ansia. Trova poco spazio per pensieri leggeri e felici. Il centro di tutto il suo mondo ora è solamente il cibo. Tutti sono in pensiero per lei: amici, parenti, insegnanti e genitori. Soprattutto lo sono mamma e papà. Tristi e arrabbiati insieme. Non capiscono il perché di quella autoinflitta sofferenza. Vogliono farla smettere, ma lei non riesce e nemmeno vuole. Si susseguono i mesi. La situazione peggiora sempre di più. Anita allora inizia a cedere. Sente che è insostenibile continuare a vivere in questo modo. Forse hanno ragione. Inizierà ad essere seguita da una psicologa.
Anita ha 14 anni. È da un po’ che va dalla psicologa. Abbastanza controvoglia. Si sente pazza. Non vuole che nessuno, a parte i suoi genitori, sappia che è in terapia. Il momento dei pasti è ancora un momento delicato. Prova a mangiare normalmente, ma a volte proprio non ce la fa. Un giorno litiga con suo papà per questo. Lui piange. Piange per lei, la sua bambina. Allora Anita si sente male, si sente in colpa. La sera a casa si rigira nel letto. Prova un profondo senso di vuoto e dolore. Che senso ha tutto questo?
…
Sono Anita, ho da poco spento venti candeline. Questi anni non sono stati sempre facili, ho vissuto vari alti e bassi. Quel senso di vuoto che mi aveva accompagnata nelle mie giornate, ogni tanto fa capolino, e le voci che mi affollavano la testa ci sono ancora, ma con il tempo ho imparato ad ascoltarle sempre meno. Allora ho aperto gli occhi, ho iniziato a sentire un brivido nella pancia, una vita nuova che mi sta crescendo dentro. La mia vita. Ne sono io la padrona e sto imparando ad amarla. Ho scoperto tante nuove sensazioni che prima non conoscevo. Ho scoperto quanto è bello condividere il cibo con chi si ama, uscire con gli amici. È bello viaggiare, studiare, conoscere persone nuove. Quanto è semplicemente bello sentire il calore del sole sulla pelle e sentirsi vivi. La vita ora non è male neanche quando si sta male e certi dolori riaffiorano tra i pensieri. In questi casi ne parlo con un’amica, che mi capisce e mi aiuta a rasserenare la mente. Possono sembrare tutte sfaccettature di una vita normale che adesso riesco a cogliere dato che sono cresciuta. Ma non è solo questo. Se c’è qualcosa che ti logora da dentro non vivi veramente. Quando mi guardo allo specchio, alle volte mi piaccio e altre volte no, adesso però nel riflesso vedo me, vedo Anita. Vedo quel mio corpo che tanto ho odiato e lo accarezzo per ringraziarlo. Quella piccola Anita che aveva deciso di non farlo vivere più non lo avrebbe mai fatto. A distanza di anni, mi fa quasi tenerezza la profonda cattiveria con la quale lo aveva trattato. La prenderei per mano e le direi che si può stare bene, si può guarire. Si può trovare un equilibrio. E così rinascere.
Autore
Viola Mattioli