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Genio, illuminato, visionario, concreto, rivoluzionario, calcolatore, razionale, logico, fenomeno, preparato, forte. Luis Enrique è tutto questo quando si tratta di allenare una squadra di calcio, ma è anche molto altro quando si tratta di essere un semplice uomo. Un uomo che ha perso tutto nella vita, che ha perso sua figlia Xana a soli 9 anni per un terrificante tumore alle ossa. Eppure lui continua a chiederselo, a ricordarlo: “Dovrei definirmi fortunato o sfortunato? Io credo di essere fortunato, molto fortunato. Ma come anche se mia figlia è morta a soli nove anni? Però lei ha vissuto con noi nove anni meravigliosi e abbiamo mille ricordi di lei, video, cose incredibili. Mia mamma non aveva foto di Xana a casa sua, nemmeno una, e io glielo dissi, Mamma perché? Mamma devi metterle, Xana è viva, non è qui col corpo ma vive dentro di noi, perché ogni giorno parliamo di lei, ridiamo e la ricordiamo. Perché io penso che Xana ci veda ancora e penso sempre al modo in cui farle vedere come la stiamo affrontando”.
Ph. Getty Images ©️
Allora Luis che ha perso ciò di più caro al mondo, continua a vivere col sorriso, nel ricordo della sua piccola Xana strappata via dalla vita da un destino crudele. E vive vincendo, per onorarla, per festeggiare sempre con lei, per ricordarsi di quelle scarpette graziose che gli corsero intorno quando vinse la finale di Champions del 2015 col Barcellona. Quell’entusiasmo contagioso di una bambina che aveva visto suo papà vincere uno dei trofei più importanti per un allenatore, forse neanche cosciente del fatto che fosse così importante, ma libera di correre e di divertirsi con la persona che la amava più di chiunque altro. Poi quella cerimonia passata alla storia di piantare la bandiera blaugrana in mezzo al campo, come gli scalatori che conquistano le vette, a simboleggiare la presa dell’Europa, del calcio europeo e mondiale, a dimostrazione di avercela fatta. Di aver vinto.
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E Luis Enrique è un vincente, assoluto, un allenatore fantastico che esprime calcio nella sua forma più meravigliosa. Lo ha sempre fatto nel corso della sua carriera, nel 2015 col Barcellona e soprattutto col PSG nel 2025. In una stagione che non era partita al massimo, con una fatica estrema in Champions e un’ingranata a rilento in campionato. Ma poi sono usciti fuori i cossidetti “attributi”, suoi e della sua squadra. Battuto il Liverpool, una delle favorite alla vigilia, esprimendo calcio e facendolo in modo meraviglioso; battuta l’Aston Villa, faticando ma sconfiggendoli; sbaragliato l’Arsenal e coronando il tutto umiliando letteralmente l’Inter, trionfando in una Champions a questo punto dominata nelle fasi che contano. Perché il 5-0 di ieri non è solo la riprova della scarsa preparazione del team di Inzaghi, ma anche di quella macchina letale messa in moto da Luis Enrique. Una squadra compatta, unita, forte nei tecnicismi e nei tatticismi, unica nello scambiare le posizioni degli attaccanti che girano costantemente senza dare punti di riferimento alla difesa avversaria. Forte negli spunti individuali e forte di reparto, con un centrocampo abile nel palleggiare mandando a vuoto chi pressa e facendogli girare la testa per 90 minuti. Una squadra che ha stra meritato di vincere, e di farlo in questo modo, perché oltre ad aver completamente annichilito gli avversari ha espresso calcio e quando giochi bene meriti di vincere e di segnare.
Ph. Paris Saint-Germain ©️
Quindi ancora una volta dopo 10 anni un’altra bandiera è stata infilzata al centro del campo, senza la piccola Xana fisicamente li, ma con la sua mano intrecciata per sempre in quella di suo papà. E ancora una volta, nonostante tutto, ha vinto il calcio.
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Grazie Luis Enrique, e grazie piccola Xana.
Autore
Giuseppe Serra