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2, Novvembre, 2189
Parma
Chiara Maddalena,
Ieri, 1 novvembre 2189, il cielo è salubre, e il Doge dalla barba canuta e bianka, ed i capelli alla nazarena, decise di corriere a rotta di collo da una parte all'altra della città per ascoltare, in apprendimento, come sai che fa sempre, i problemi dei suoi cittadini prelibati (gli alchimisti del Campo). Intendo io dire, tra una corsa e l'altra, tra un “Have you sufficient funding?” e un “Is everything in order here?”, tra una cosa in tvù e una sulla Gazziana, una coi fanti e una coi santi, anche da noi, poveretti domiciliati in Kennedy, ieri, giornata immemorabile, si è fermato per 15 minuti del suo tempo... e io ne ho approfittato –oh Maddalena, ekkome se ne ho approfittato!
Stava seduto in un angolo, gibboso, a riprendere respiro ed io, Cambiato in un acchiappafarfalle rosa, sopra lui sono sceso, e circondandolo colla rete dei miei problemi per minuti e minuti e minuti l'ho tenuto intrappolato in una conversazione che certamente non dimenticherà...
Gli ho detto propriamente questo, che ti riporto voce per voce:
Mio dolce Doge, perché lasciati solamente ci avete? quivi c'è penuria d'omini, non si indaga e la lingua non si conosce più! Come studiamo lettere se no n sappiamo la lingua?
Maledizione.. ancora lei.. è uno scherzo?! pitocco maledetto!
Io, io.. io... grazie Doge! nessuno prima mai mi aveva insegnato questa parola. Pitocco a te Doge, con il cuore!
Dunque, quando giunge il guardiano della lingua?
Gliel'ho già detto l'anno scorso, non si preoccupi!
Prestissimo, prestissimo arriverà un professore ad insegnarvi la vostra Lingua..
Arriverà a novembre, a novembre arriverà!
Ma Ora devo proprio andare, mi lasci liber...
Ma Dolce Doge di già è novembre, e non c'è nessuno!
Io, insomma, voi avevate promesso...
Io non commemoro come si segna il mio nome!
Arriveranno arriveranno arriveranno!
glielo prometto!
Ma quando?
Presto, caro bagordo!
Stolido cacasenno!
Presto razza di menagramo, glielo prometto!
Io.. io.. ma che belle parole che m'insegna Doge, grazie di cuore!
Spero.. io lo spero davvero: non commemoro come si segna il mio nome!
Ma ragazzo.. a lei basta chiedere e le sarà dato, il suo nome si scrive così..
(e sopra un biglietto mi ha segnato questo: 233544: il mio nome!)
E ora mi lasci andare!
Ma certo Doge, a presto, a preso Doge!
Dopo questa promessa, oggi , sono garantito che lo farà. Io ho speranza che lo farà.
Manchi alle orecchie del cuore Maddalena, come la lingua.
Poi, sempre ieri, trovai una lettera vecchissima in archivio in biblioteca, uno che studia scriveva così: eccola:
Alessandro
1, novembre
Parma
A miei lettori e alle mie lettrici,
voi sapete che il povero Autunno, il cocciaio del creato, la modesta lavoratrice, come ogni anno, sta spegnendo l’intero mondo: velata accabadora, soffoca le nude Naiadi estive, prima accaldate e danzanti ed ora infreddolite e morenti ai piedi degli alberi, e dalle stesse chiome di tutti quegli alberi e di tutti i paesi toglie le foglie, che ora stanno a terra, arancioni, rosse e gialle come becchi marci di tucani.
In questo clima, circondati dai colori caldi, dalla nebbia fumosa e obnubilante e dal rinnovato gelo, abbiamo segnato -era un sabato- l’arrivo del Nono sul calendario gregoriano, e cioè il mese che noi chiamiamo novembre; e con questo gesto abbiamo ricordato la fatica dello scorso inverno, l’estate passata subito, l’ultimo amore che custodiamo nella memoria e l’invecchiare inesorabile di un altro anno…
Dunque il nostro… tanto che qualcuno s’è dovuto allontanare perché sentiva troppo forte il bisogno di piangere, quando le corde del cuore, vibrando, lo riportavano con la mente a quelle estati lontane di campagna, bambino: il suono delle cicale e il tramonto; ancora tutto il mondo da inventare.
Quanto a me? Io sono esausto. Mi preparo ad affrontare questo inverno con qualche amico, moltissimi impegni, altrettanti rivali, senza luci, procedendo nella consonanza del suono tartareo giunto da oltre i confini fino a Parma, che poi qui si mescola a tutte le promesse fatte a voce che oggi non sono state mantenute; che si dovevano fondare sul rispetto reciproco, sull’ascolto dei giovani e, allo stesso tempo, su una cosa logica ed ovvia: chi pianta bene d’autunno guadagna un anno.
Già -ed è a malincuore che lo scrivo- è novembre, ma quello che era stato promesso alla nostra comunità, a voce, non è stato mantenuto: la cattedra di Storia della Lingua, oggi, non ha un professore. E così, con caratteristica tragicamente comica, si avvera una delle poche cose che abbiamo appreso in questi anni, grazie a Dante, su una caratteristica fondamentale del potere:
«Prometter molto, mantenendo poco» (Inferno, XXVII).
Per mio conto, all’epoca, non servivano grandi promesse: sarebbero bastate delle scuse, ai professori coinvolti e poi agli studenti. Ma, mentre ci intimidivano scegliendo sempre l’inglese all’italiano, la pedagogia alla letteratura, il lenocinio all’onestà del cuore, ci siamo dimenticate anche queste due parole semplicissime e italiane: grazie e scusa.
Molti le hanno dimenticate. Allora ricordo che, a volte, bisogna spiegarle da zero le parole, e darne esempio. Così ho deciso di provarle ad usare in questa lettera.
Innanzitutto chiedo scusa per le mie mancanze e i miei errori.
Chiedo scusa ai miei vecchi lettori, ai miei ex amici e ai passati collaboratori per le sconfitte, per la mia evidente inesperienza politica ed erronea, fondata sulla credenza che ogni uomo e ogni donna mettano la bontà e la giustizia davanti all’interesse personale; scusa per il mio carattere indomito, per l’impazienza culturale e la morale intransigenza che spesso ci hanno portato a discutere e ad avere, insieme, più guai che onori, e sicuramente più problemi della quantità che credevamo sopportabile a vent’anni.
Chiedo scusa perché credevo di riformare insieme a voi alcuni spazi, ingenuamente, in cui oggi, e per sempre, rampolla come adipe l’iniquità di generazioni e generazioni di potenti, che in un oblio politico si passano lo scettro del controllo senza meriti.
Dopodiché il grazie.
Grazie alla madre della mia carne per avermi fatto con un sangue scevro ad ogni tipo di servitù.
E infine, un ringraziamento corale, da parte di tutti gli studenti con cui mi sono confrontato in questi tre anni, e di tutti quelli che hanno partecipato al nostro giornale, alla professoressa Donatella Martinelli -attenta studiosa, vera educatrice e maestra nell’arte della lingua italiana, veramente interessata al futuro degli studenti e all’onore dell’università di Parma- di cuore antico e buono, che, da poco, è andata in pensione, spegnendo quel fuoco che, a Parma, da vent’anni ardeva sulla lingua italiana e che per vent’anni ha reso un servizio civile indispensabile a tuti gli studenti e di conseguenza all’intera città.
Non lo so, Maddalena, questa segnatura non è chiara. Io non ho inteso niente: fammi sapere! Un bacio.
Autore
Alessandro Mainolfi
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