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Nella notte tra il 9 e il 10 settembre, la Russia ha lanciato l’ennesimo massiccio attacco aereo contro l’Ucraina. Ciò che ha reso questo attacco senza precedenti è stato il fatto che Mosca ha diretto oltre 20 droni nello spazio aereo della NATO, in Polonia. Per la prima volta nella storia, i cittadini polacchi hanno ricevuto messaggi di testo di allerta che avvisavano della “neutralizzazione di oggetti che avevano violato il territorio della Repubblica di Polonia”.
“Questo è un atto di aggressione che ha creato una reale minaccia alla sicurezza dei nostri cittadini”, dichiara un comunicato del comando operativo delle forze armate polacche, poste nel frattempo in stato di massima allerta, insieme a tutte le forze alleate nella regione. Quattro grandi aeroporti nell’est e nel centro della Polonia, Rzeszów, Lublino e i due di Varsavia, sono stati chiusi per dare libero spazio ai caccia nell’intercettare e ingaggiare i bersagli in arrivo. L’Ucraina ha riferito che quella notte la Russia aveva lanciato 458 attacchi aerei con vari strumenti, tra cui 250 droni iraniani Shahed. Le difese aeree ne hanno abbattuti 413, mentre i restanti sono riusciti a penetrare o sono precipitati in Polonia.
Secondo una successiva dichiarazione della NATO, la risposta ha incluso F-16 polacchi e aerei di sorveglianza AWACS, F-35 olandesi, batterie di missili Patriot tedesche e aerocisterne italiane per il rifornimento in volo. L’ultimo drone è stato abbattuto alle 6:45 del mattino. I droni identificati finora erano in gran parte esche del tipo “Gerbera”, progetto russo di derivazione iraniana prodotto in Cina, la maggior parte dei quali è precipitata dopo essere rimasta senza carburante. Uno è arrivato fino alla località di Hucisko, nel centro della Polonia, e un altro è andato alla deriva verso la costa baltica. Non si può tuttavia escludere che alcuni droni trasportassero carichi esplosivi. Nella città di Wiry, un drone ha colpito un edificio residenziale, causando gravi danni.
Riprese mostrano un caccia della NATO che distrugge un drone russo con un missile AIM-9 o AIM-120. Questo ha segnato la prima volta nella storia che aerei da combattimento NATO hanno abbattuto armi offensive russe sopra il territorio dell’Alleanza. Il primo ministro polacco Donald Tusk ha invitato alla calma ma ha anche annunciato che la Polonia aveva invocato l’articolo 4 del Trattato NATO, un meccanismo per consultazioni urgenti quando un alleato si sente minacciato.
Mosca ha negato ogni coinvolgimento, sostenendo che non vi fossero prove che i droni fossero russi. La Bielorussia, desiderosa di prendere le distanze, ha insistito di aver in realtà avvertito Varsavia dell’arrivo dei droni, un tentativo di Lukashenko di presentarsi come attore indipendente dal Cremlino. Poche ore prima, la Polonia aveva chiuso il confine con la Bielorussia a causa dell’esercitazione militare russo-bielorussa denominata “Zapad 2025”. Gli Stati Uniti avrebbero dispiegato bombardieri B-52 in Europa, anche se non è chiaro se questa mossa sia collegata o meno all’incursione russa.
Non ci sono dubbi che l’attacco sia stato deliberato. Gli operatori russi hanno mantenuto il controllo dei droni per l’intera durata del volo. Alcuni media hanno persino suggerito che Mosca avesse preparato l’attacco per mesi, utilizzando presunte SIM card polacche per il comando e controllo dell'operazione. È vero che le interferenze elettroniche ucraine potrebbero occasionalmente far deviare i droni nello spazio aereo polacco, ma quando si parla di oltre 20 velivoli, alcuni passati dalla Bielorussi, l’idea di un incidente è da escludere: è stato voluto.
In termini di intensità, l’attacco non ha rappresentato una seria minaccia allo Stato polacco. L’Ucraina affronta quotidianamente offensive su scala centinaia di volte superiore. Tuttavia, le conseguenze di questo episodio sono molto serie. Dal punto di vista del Cremlino, la mossa serve a diversi scopi chiave, ma comporta anche rischi.
Primo: segnala che, di fronte alla frammentazione europea, alla postura incerta americana e allo stile negoziale ingenuo di Trump, la Russia ha scelto di compiere un ulteriore passo nell’escalation, testando direttamente le capacità e le difese della NATO. Mosca mira probabilmente a sondare i sistemi di difesa aerea polacchi e degli altri alleati del fianco orientale, nonché a valutare la risolutezza politica delle leadership ed opinioni pubbliche europee.
Secondo: con costi molto bassi, si tratta di droni prodotti in massa a prezzi contenuti, la Russia costringe l'Europa a impiegare risorse estremamente costose, facendo decollare F-16 e F-35, attivando batterie di difesa aerea e dispiegando aerei AWACS. L’attacco ha inoltre chiuso quattro grandi aeroporti polacchi e mobilitato l’intero apparato politico-militare dello europeo e NATO. Il costo asimmetrico è enorme, ammontando a decine di milioni di euro. Come ha osservato l’ex comandante della NATO in Europa, il generale Frederick Hodges, il solo fatto che l’Alleanza abbia dovuto schierare sistemi d’élite che costano milioni per abbattere droni che valgono quanto un’auto di fascia media dimostra che non è adeguatamente preparata e manca di meccanismi per gestire simili minacce.
L’“incidente” si è concluso con parole di condanna, innumerevoli riunioni di gabinetto e tra alleati, unite alla dimostrazione che l'Europa può abbattere questi droni con veicoli di fascia alta come l’F-35, ma con pochi cambiamenti reali. L’attacco potrebbe essere il primo di una lunga serie, costringendo la NATO a impiegare sistemi costosi per abbattere “droni di plastica”. L’inerzia rischia di provocare ulteriori attacchi. Se la risposta europea si limita a questo, incentiva Mosca a ripetere la tattica contro la Polonia e contro gli Stati baltici o la Finlandia, su base ciclica. La prossima volta potrebbe non trattarsi solo di droni, ma di “missili da crociera vaganti” o altro. In uno scenario del genere, l’intero Europa orientale si trasformerebbe gradualmente in una zona grigia di guerra ibrida, in cui gli attacchi russi verrebbero normalizzati e trattati come una caratteristica permanente del panorama.
E infatti, già il 19 settembre il Guardian è stato tra i numerosi media a riportare che la Russia aveva inviato tre caccia MiG-31 sul Mar Baltico. Tuttavia, non è stato un volo qualsiasi. I jet non si sono limitati a sfiorare i confini dello spazio aereo europeo per poi rientrare: li hanno superati. Tutti i MiG-31 sono entrati nello spazio aereo dell’Estonia sopra il Golfo di Finlandia, spingendo le forze NATO a intercettarli e a “guidarli” fuori da un territorio in cui i piloti sapevano di non poter entrare senza permesso. La risposta europea è stata rapida: caccia italiani F-35 di stanza in Estonia sono decollati e hanno intercettato i MiG russi entro 12 minuti dalla loro individuazione. Ma, almeno nella mente di Putin, il danno era fatto: aveva ribadito il messaggio che la Russia continua a inviare: “Possiamo entrare nello spazio aereo della NATO quando vogliamo”.
L’ex prima ministra estone, oggi Alto rappresentante dell’Unione Europea, Kaja Kallas, ha definito la mossa una “provocazione estremamente pericolosa” da parte della Russia. Anche la presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen, ha ammonito Mosca, rilevando che i voli “fanno salire ulteriormente la tensione nella regione”. Von Der Leyen ha anche chiarito che l’Unione Europea “risponderà a ogni provocazione con determinazione”, aggiungendo che il 19º pacchetto di sanzioni sulla Russia è in arrivo. Tutto questo va bene, ma condanne e l’ennesimo pacchetto di sanzioni sono ciò che Putin si aspettava. Non basteranno a impedirgli di spingersi oltre i limiti e testarli.
In un primo momento, le reazioni dell’Estonia sono state piuttosto misurate. Il ministro degli Esteri estone, Margus Tsahkna, ha scritto su X la risposta diplomatica: “Violando apertamente lo spazio aereo estone, la Russia mina principi vitali per la sicurezza di tutti gli Stati membri dell’ONU. Quando tali azioni sono compiute da un membro permanente del Consiglio di Sicurezza, quello stesso organo deve occuparsene”. Una posizione condivisibile: la Russia è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, eppure è anche il membro che rappresenta oggi la minaccia maggiore alla sicurezza globale. L’invasione dell’Ucraina ha destabilizzato l’intera Europa, ha visto la Russia allearsi con la Corea del Nord, ricevere armi dall’Iran e rafforzare i legami con la Cina, trasformando quella che doveva essere un’invasione breve e vittoriosa in un conflitto di portata globale. Tsahkna pone la domanda che molti si fanno: come può la Russia restare nel Consiglio di Sicurezza mentre agisce contro tutto ciò che quel consiglio dovrebbe rappresentare?
Se la risposta di Tsahkna all’incursione russa è stata misurata, molto più netto è stato l’avvertimento del ministro della Difesa estone, Hanno Pevkur: “Abbiamo visto venerdì che la NATO funziona in modo molto efficiente… fino al punto che, se fossimo davvero costretti a ricorrere all’ultima risorsa, cioè all’uso della forza, saremmo stati pronti”, riferisce il Kyiv Independent. È il primo indizio che la NATO potrebbe passare dal semplice intercettamento e scorta all’allontanamento, all’abbattimento vero e proprio. Pevkur conosce il gioco di Putin: il leader russo vuole che queste incursioni aeree distolgano la NATO dai combattimenti in Ucraina. Il suo avvertimento ha uno scopo preciso: far sapere a Putin che, se continua a sfidare la sorte, il prossimo MiG-31 potrebbe finire in una palla di fuoco.
Forse l’avvertimento più esplicito che i jet russi verranno abbattuti alla prossima violazione dello spazio aereo NATO è arrivato da Marko Mihkelson, presidente della Commissione Esteri del Parlamento estone: “17 secondi contro 12 minuti. La prossima volta faremo così, se capite cosa intendo”. Si riferiva a un episodio della fine di novembre 2015, quando un caccia russo violò lo spazio aereo della Turchia. Ankara non perse tempo: invece di far decollare aerei per scortarlo fuori, abbatté il Su-24 russo 17 secondi dopo averlo individuato. Ma per ora l’Estonia sta seguendo tutte le presunte “procedure corrette”. Invece di passare all’azione immediata, anche Tallinn ha invocato l’Articolo 4 della NATO a seguito dell’incursione russa, la seconda volta in poche settimane.
Mosca non si è fermata nemmeno dopo quanto accaduto sopra l’Estonia. Il 22 settembre, il Guardian ha riportato che la NATO ha dovuto far decollare i caccia, questa volta sul Baltico, contro un aereo da ricognizione russo Il-20M che, come i MiG-31, ha ignorato ogni tentativo di contatto prima di essere scortato via. Non è chiaro se l'"aereo spia" abbia violato lo spazio aereo NATO o se volasse nello spazio aereo internazionale senza notificarlo: in ogni caso, era un altro velivolo troppo vicino.
Ma la traiettoria potrebbe cambiare: questi episodi potrebbero essere un punto di svolta, un cambiamento di paradigma nel pensiero delle leadership europee e della NATO. A lungo termine, la Russia non può essere autorizzata a colpire senza alcuna forma di punizione. La sproporzione dei costi di una difesa puramente reattiva, come detto prima, sarebbe devastante per la sicurezza dell'Europa e rafforzerebbe la convinzione di Mosca che Bruxelles non abbia imparato nulla. È dunque nell’interesse europeo accettare finalmente la necessità di una risolutezza complessiva.
L’Ucraina, che combatte per la propria sopravvivenza, ha sviluppato un’industria nazionale di droni estesa ed economica, probabilmente già in grado di produrre droni a lungo raggio, nonché missili da crociera e balistici autoctoni. È nell’interesse comune di Ucraina, Europa e NATO che i produttori ucraini collaborino con l’industria europea ed espandano la capacità produttiva in territorio europeo. I governi dovrebbero fare tutto il possibile per sostenere le capacità ucraine, incentivando progetti congiunti e partnership tecnologiche, assicurando una produzione parallela anche per le forze armate europee. Ciò può essere collegato al nuovo programma SAFE, acronimo di Security Action for Europe, lanciato a maggio come nuovo strumento finanziario dell’UE per prestiti nel settore della difesa a condizioni molto favorevoli, anche per progetti con partner come l’Ucraina.
L’Europa potrebbe, inoltre, mostrare una risposta simmetrica. Dopo che 19 o più droni sono stati lanciati contro la Polonia, un numero identico può essere lanciato contro il territorio russo o contro sistemi russi stanziati in Bielorussia. Allo stesso tempo, la NATO potrebbe comunicare chiaramente che non si tratta di un atto di guerra, ma di una controffensiva simmetrica e misurata. Tuttavia, ciò implicherebbe uno scambio cinetico tra due potenze nucleari, NATO e Russia. Un simile scenario si è già visto a maggio, quando India e Pakistan si sono scambiati duri colpi. Lungi dall’innescare un’escalation, paradossalmente ha de-escalato la crisi riducendo l’incentivo di entrambe le parti a ripetere la provocazione.
Esistono però altre forme di ritorsione. Un’opzione a lungo discussa è che l’Alleanza assuma il controllo dei cieli sull’ Ucraina occidentale, abbattendo ogni drone o missile ostile in quell’area. Ciò non significherebbe truppe europee in territorio ucraino, ma piuttosto l’intercettazione dall’alto dei raid russi. Un passo del genere libererebbe preziose risorse ucraine, salverebbe vite civili e invierebbe anche un messaggio chiaro: ogni atto di aggressione contro un membro dell'Unione ha conseguenze serie.
Altri hanno suggerito, ad esempio, che Polonia, Lituania e gli altri Stati della regione sospendano i servizi di navigazione aerea verso Kaliningrad, l’exclave russa in Europa, tagliandola di fatto fuori dal traffico aereo. Una misura più severa sarebbe un ultimatum a tutte le compagnie aeree straniere: possono volare in Russia o in Europa, ma non in entrambe. Questo colpirebbe vettori come Emirates, Belavia, Air Serbia, Turkish Airlines e diverse compagnie asiatiche, soprattutto cinesi. Mosca sarebbe costretta a fare affidamento esclusivamente sulle proprie compagnie aeree, subendo un duro colpo.
Secondo rapporti non ufficiali, però, Trump starebbe spingendo per “l’opzione nucleare”: imporre sanzioni al 100% contro Cina e India se non smetteranno di acquistare petrolio russo. Insieme, questi due Paesi rappresentano il 66% delle esportazioni energetiche russe, principalmente greggio. Se l’embargo includesse anche la Turchia e l’UE stessa, che ancora importa circa il 9%, cancellerebbe il 96% del mercato di esportazione russo. Stime indicano che fino al 60% delle entrate statali russe dipende dal settore energetico.
Per un’Ucraina logorata dalla guerra, un attacco della portata di quello subito dalla Polonia e dall’Estonia sarebbe quasi un momento di respiro. Per l’Europa, invece, è un nuovo, e forse il più forte, campanello d’allarme, che richiederebbe una risposta adeguata e decisa. La vedremo?
L’esitazione e la lentezza dei leader europei, unite alla postura ingenua di Trump, suggeriscono che la probabilità sia bassa. Ed è proprio questa la conclusione che il Cremlino spera l’Europa tragga dall’attacco. Resta però la possibilità che Mosca abbia calcolato male e che questa aggressione possa invece innescare una mobilitazione di risorse e volontà politica: l’esatto risultato che la Russia cerca di evitare a tutti i costi.
Autore
Luca Amadasi