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Nel corso dei millenni l’uomo ha sempre avuto l’inclinazione a rappresentare gli accadimenti nel contesto storico, sociale e culturale intorno a lui, servendosi di varie forme di espressione e strumenti quali la letteratura, la musica e l’arte.
Quest’ultima, nel corso del tempo, ha subito molti cambiamenti, come i soggetti raffigurati e lo stile dell’opera: se prima era prediletto uno stile figurativo e i protagonisti erano perlopiù religiosi, si è intrapresa poi la strada della denuncia sociale e politica, scegliendo come figure di spicco la gente comune, giocando con la figura, con i colori e con le tecniche pittoriche.
Gli artisti hanno sempre cercato di dare un contributo nella storia, sia mostrando tramite la propria sensibilità degli avvenimenti che avrebbero dovuto avere la giusta attenzione, sia stimolando gli osservatori su uno specifico tema.
3 maggio 1808
Francisco Goya, 3 maggio 1808, 1814, olio su tela, 268 x 347 cm, Madrid, Museo del Padro
Francisco Goya (Fuendetodos, 1746 - Bordeaux, 1828) fu uno dei più importanti pittori ed incisori spagnoli, rientrando nella corrente romantica.
Il “3 maggio 1808” racconta il periodo delle invasioni napoleoniche in Spagna: la scena si svolge al buio ed è illuminata solamente da una lanterna rivolta verso un ribelle che sarà presto condannato a morte.
Quest’ultimo è un contadino che accetta il destino a cui sta per andare incontro, inginocchiato e con le braccia alzate verso il plotone di esecuzione.
Vicino al soggetto, a terra, sono presenti i compagni ormai morti e altri in preda al terrore, tra cui uno con il viso coperto dalle mani.
Il dipinto è realizzato con pennellate veloci e non stese sulla tela, rendendo così maggiormente drammatica la scena, oltre che a creare un’azione drammatica tra le figure.
Il centro psicologico dell’opera si svolge intorno al triangolo composto dal condannato a morte, l’uomo che si copre gli occhi e la pozza di sangue.
I militari sono girati di schiena e indossano divise napoleoniche: non è possibile identificare i loro volti, permettendo così di spersonalizzare i soldati e raffigurandoli come dispensatori di morte.
La zattera della Medusa
Théodore Géricault, La zattera della Medusa, 1818-1819, olio su tela, 481 x 716 cm, Parigi, Museo del Louvre
Théodore Géricault (Rouen, 1791 - Parigi, 1824) fu uno dei fautori del Romanticismo, ispirato dai fatti di cronaca e per la gente comune, interessandosi anche alla psicologia e all’animo umano, come si vede nel “Ciclo degli alienati” del 1820-1824.
Una delle sue opere più conosciute è “La zattera della Medusa”, fatto di cronaca realmente accaduto: si tratta della storia della fregata francese a vela Méduse. Quest’ultima, varata nel 1810, si incagliò sulle secche del Banc d’Arguin in Mauritania nel 1816, fatto dovuto all’inesperienza del comandante Hugues Duroy de Chaumareys.
Dopo tre giorni, decisero di trasferirsi su un'imbarcazione di salvataggio, collocando i passeggeri eccedenti su una zattera, ma successivamente si ruppe la cima che la teneva legata al gruppo. L’equipaggio abbandonò l’imbarcazione e venti persone morirono e ricorsero al suicidio appena calata la notte.
Nove giorni dopo, si verificarono casi di cannibalismo e il 17 luglio 1816 il battello Argus salvò i superstiti rimasti, ma cinque di loro morirono appena toccata la terraferma: dei 150 uomini ne rimasero in vita 15, dopo aver sopportato condizioni durissime in mezzo all’oceano, dopo aver subito la fame e dopo essere stati dimenticati dal proprio comandante e dal governo francese.
Venne dato molto spazio al fatto nei giornali dell’epoca e scoppiò un’ulteriore polemica quando i giudici condannarono il capitano a due anni di carcere e alla radiazione dal registro navale, quando invece la legge prevedeva la pena di morte.
La struttura compositiva dell’opera è articolata da una struttura piramidale (ripresa da Leonardo) che culmina con l’uomo che sventola il panno, simbolo di aspirazione alla salvezza e di un crescendo emotivo verso il cielo.
I toni sono scuri e drammatici, con colori che tendono al grigio, tali per cui i corpi sono lividi per la morte e per il freddo.
Gli Spaccapietre
Gustave Courbet, Gli Spaccapietre, 1849, olio su tela, 165 x 257 cm, Opera distrutta
Gustave Courbet (Ornans, 1819 - La Tour-de-Peilz, 1877) fu considerato il padre del Realismo, corrente che intendeva raccontare la verità del proprio tempo: offrendo una rappresentazione fedele e oggettiva della quotidianità, egli andò a denunciare le ingiustizie della vita cittadina più semplice.
L’opera descrive in modo estremamente realistico il duro lavoro degli operai in Francia a metà Ottocento, proponendo come protagonisti due operai impegnati nel duro lavoro di spaccare pietre per ricavarne ciottoli e ghiaia. Il più anziano è raffigurato sulla destra, in ginocchio, intento ad abbattere una pietra con un martello e avendo il volto nascosto da un cappello a larghe tese che lo protegge dal sole.
Il ragazzo più giovane si trova invece intento a trasportare una cesta piena di ciottoli e dinanzi a sé è poggiata una zappa, strumento di lavoro di quest’ultimo.
A destra sono presenti una pentola, un cucchiaio e del cibo: i lavoratori erano soliti a lavorare per tutto il dì, quindi costretti a dover preparare del nutrimento per tutto l’arco della giornata lavorativa.
Purtroppo, l’opera fu distrutta durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale nel 1945 a Dresda.
Il Quarto Stato
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, 1901, olio su tela, 293 x 545 cm, Milano, Galleria d’Arte Moderna
Giuseppe Pellizza da Volpedo (Volpedo, 1868-1907) fu uno degli esponenti del Divisionismo italiano.
Il “Quarto Stato” è un’opera che rappresenta le rivendicazioni dei lavoratori di fine Ottocento: un corteo di lavoratori è in cammino con determinazione rivolto con fierezza verso l’osservatore del quadro.
In primo piano spiccano tre figure che rispettivamente da sinistra sono Giacomo Bidone, Giovanni Gatti, il quale gli è stato adattato il volto di Giovanni Zarri, e infine la moglie dell’artista Teresa Bidone, con in braccio un bambino, rappresentando le componenti della classe sociale più umile del tempo.
Il titolo Quarto Stato fa riferimento a un termine nato durante la rivoluzione francese, facendo riferimento alla classe lavoratrice formata da operai e contadini per indicare lo strato più basso della società, dal momento che il terzo stato era composto dalla borghesia.
L’arte è quella lente critica che permette di poter guardare alla società, suscitando l’interesse dell’osservatore e le emozioni riguardanti un determinato tema.
Il mio intento è quello di stimolare il senso critico di chi si approccia al mondo dell’arte, perché a parere mio quest’ultima deve essere in un certo senso criptica, incoraggiare l’osservatore ad andare oltre ciò che si vede e che viene proposto.
Nel tempo e soprattutto oggi, in una società che è sempre più veloce, fulminea, per via del capitalismo che permea ogni aspetto della nostra vita, si è persa la capacità di introspezione e di analisi di ciò che ci circonda.
In un’epoca dove siamo bombardati da notizie (ogni riferimento alla guerra è puramente intenzionale) e da contenuti sempre più immediati e sintetici, è difficile che la maggior parte delle persone sia in grado di analizzare un’opera o perlomeno cercare un'interpretazione secondaria a ciò che si osserva.
L’arte è poesia e come quest’ultima, tra un verso e l’altro, deve permettere di concedere allo spettatore il suo momento di creatività, di dargli in mano il pennello (o la penna).
Ma di che tipo di denuncia sociale si tratta? Qual era l’intento di questi artisti?
L’intento di questi artisti era quello di denunciare una serie di ingiustizie sociali, una serie di maltrattamenti, dei casi di insabbiamenti e illustrare le condizioni di vita precarie della maggior parte delle persone.
Ma cosa notiamo? Notiamo che è stato fatto in un’ottica prettamente maschile.
La voce degli uomini che risalta: il sesso maschile degli autori (pittori e non), dei soggetti raffigurati, di una visione di un mondo post-sfruttamento da e per gli uomini.
Non c’è mai stato spazio per le donne in questo tipo di contenuti e se c’è stato o le autrici sono state messe in ombra (o hanno dovuto ricorrere al nome del marito per pubblicare le proprie opere) o sono sempre state raffigurate come l’ideale della donna “perfetta”, senza difetti e soprattutto non nel momento della fatica (anche se ne “Il Quarto Stato” abbiamo delle presenze femminili in quanto esse avevano iniziato da poco ad approcciarsi al mondo del lavoro e a protestare per le condizioni precarie in cui operavano).
Ancora oggi combattiamo gli stereotipi per cui le donne sono percepite come soggetti più inclini alle professioni di cura, mentre gli uomini sono percepiti come più inclini ai lavori manuali e di fatica, andando a rafforzare uno schema che poi si tramuta in circolo vizioso, persuadendo le menti delle masse e convincendole che in realtà non sia possibile un’alternativa alla realtà in cui viviamo.
Come una volta, attualmente viene messa in secondo piano la voce del genere femminile, crogiolandosi nella certezza che dopo la liberazione dal male maggiore, allora si potrà avere il tempo e lo spazio per una liberazione da e per le donne: si sa bene che non è così.
Per questo in contesti belligeranti e di oppressione bisognerebbe pensare a un mondo che sarà poi libero da subito in un’ottica femminista e che tenga conto anche delle altre minoranze.
A differenza del Secolo Lungo (dal 1800 al 1914) in futuro si avranno molte più autrici e artiste che con la loro voce e il loro operato, almeno in parte, avranno cambiato la percezione delle masse e gli eventi con le loro opere, con le loro performance, con i loro scritti e le loro capacità oratorie, ma purtroppo la strada è ancora lunga ed è necessario che tutti sviluppino una coscienza e un senso critico ripartendo dall’arte, riscoprendola e osservandola come se la nostra vita dipendesse da essa, perché è grazie a quest’ultima se oggi possiamo riscontrare somiglianze con le nostre condizioni di vita e quelle dei nostri avi.
In questo percorso è stato possibile osservare come lo stile e il modo di raccontare gli eventi sia mutato nel giro di meno di un secolo, perché l’arte è così: muta in merito alle esigenze della società, dell’artista e a come la si vuole rappresentare.
Questi artisti, e tanti altri, ci hanno lasciato in eredità la loro visione del mondo, il loro tempo, le loro questioni politiche e sociali, che in realtà sono ancora oggi molto attuali.
Oggi dobbiamo essere pronti ad abbracciare il cambiamento, sviluppare una coscienza, senza tralasciare nessun dettaglio, perché ogni dettaglio è storia.