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(foto di Alessandro Paolicelli)
Cremona è conosciuta per essere la città del violino, di Stradivari, del salame, della mostarda, culla di arte e di cultura, con il suo Duomo in stile romanico e con la sua torre campanaria più alta d’Europa, il Torrazzo.
Peccato che per quanto possa essere un gioiello brillante nel mezzo della pianura padana, essa sia una città completamente morta e piatta dal punto di vista morale e di coesione sociale.
Ma nonostante questo, venerdì 3 ottobre 2025, come in tutte le altre città della penisola italiana, si è svolto a Cremona lo sciopero generale a sostegno della Global Sumud Flotilla: ha richiamato nel suo centro, in piazza Roma, il nucleo e l’inizio vero e proprio del corteo organizzato dai sindacati Usb e CGIL.
Verso le 10:30 si sono raggruppate persone di tutte le età: da studenti a docenti, da famiglie con i propri figli ad anziani con la speranza negli occhi, di lottare ancora un’ultima volta per quello in cui credono sia giusto.
Si respirava aria di altruismo, di apprensione per il popolo palestinese, di lotta contro quei soggetti che credono sia sbagliato esprimere ciò in cui si crede e che il “weekend lungo e la rivoluzione non stanno insieme”.
Questa causa in questo determinato momento storico, dove la società è sempre più frammentata e liquida, è riuscita ad unire gruppi di persone diverse, che molto spesso sono agli antipodi per abitudini e caratteristiche personali, come la religione, la classe sociale e il genere.
Gli scioperi delle ultime settimane sono stati oggetto di contestazione da parte di una fetta della popolazione italiana e delle istituzioni che sostengono i manifestanti siano intrinsecamente violenti (tutto questo in riferimento al caso isolato di scompiglio verificatosi presso la stazione Centrale di Milano il 22 settembre), ma io ho potuto notare sulla mia pelle quella stessa mattina che la violenza in realtà è provenuta proprio da chi critica le manifestazioni: ho avuto modo di osservare persone che non erano solo in preda all’indignazione del disagio causato dallo sciopero, ma che erano macchine produttrici di negatività e odio.
Persone che si sono appellate alla propria posizione sociale ed economica per percorrere cinquanta metri in macchina, urlando alla polizia di farli passare per poi inveire contro i manifestanti, portando così a un paradosso.
L’equipaggio di terra è partito dai giardini pubblici, facendo il giro di questi ultimi, spostandosi verso piazza Stradivari, per poi percorrere corso Vittorio Emanuele II, concludendosi nella sua forma più grande in piazza del Duomo.
Si contavano presso quest’ultima 2000 persone: la piazza più grande e bella della città, in tutta la sua interezza, costellata di persone che trasmettevano solamente felicità e pace.
In questo contesto ho voluto immortalare e prendere nota delle testimonianze di alcune persone per dipingere un quadro in tutte le sue sfumature, usufruendo del mio pennello per ricreare in modo fedele quanto osservato durante quella giornata.
Intervista alle docenti Alessia Oneta e Daniela Parrella (IIS Stradivari)
Neva: “Pensate sia corretto e legittimo descrivere quello che sta succedendo come genocidio?”
Parrella: “Assolutamente sì, penso che sia un genocidio perché uccidere civili in massa è un genocidio, e non si può non definirlo così.”
Oneta: “Sì, penso anch'io la stessa cosa, che l'attacco di Israele verso la popolazione civile si connoti a tutti gli effetti come un genocidio.”
Neva: “Nella vostra scuola voi stesse e altri docenti spendete qualche parola in merito alla situazione attuale?”
Parrella: “Non lo fanno tantissime persone perché c'è un po' la paura di entrare troppo nei discorsi politici, di fare politica a scuola e quindi questa cosa blocca molti professori dall'affrontare l'argomento che invece andrebbe affrontato nella piena libertà di pensiero, chiaramente ascoltando anche il pensiero contrario, ma sarebbe fondamentale affrontare l'argomento secondo me in classe con i ragazzi. Voglio dire solo questo anche per parlare proprio dei diritti civili che in questo momento veramente sembrano non essere importanti, schiacciati dalla situazione attuale.”
Oneta: “Invece quello che è capitato a me è che è arrivata direttamente dai ragazzi la richiesta di approfondire questo tema perché chiaramente sono un po' bombardati da varie notizie contrastanti. Quello che succede è che magari altri colleghi demandano all'insegnante di storia la trattazione di questo tema come se fosse un qualcosa di pertinente solo alla nostra materia. In realtà secondo me è un'occasione utile e ci offre l'opportunità per fare un discorso che deve essere trasversale. Si parla tanto di educazione civica a livello trasversale e penso che il tema della pace non connotato politicamente debba essere condivisibile da parte di tutti. Credo anch'io che molti docenti non lo affrontino un po' per paura, perché di fatto ci sono anche poche conoscenze storiche che permettano di affrontarlo con una certa serietà. Sicuramente bisogna documentarsi onde evitare poi di spiegare delle cose non corrette, ma certamente credo che ragionare insieme agli studenti sia anche per noi un valore aggiunto, un modo anche per metterci in discussione e per vedere le cose da più prospettive.”
Neva: “Pensate che sia pericoloso non parlarne a scuola e/o all’università? Perché?”
Parrella: “Penso che sia pericoloso non parlarne perché gli argomenti che non vengono affrontati e restano in sottofondo possono scoppiare in un modo che poi non è quello giusto, in un modo non ragionato e quindi che possa esplodere dopo una rivolta di qualsiasi tipo che in realtà potrebbe essere dannosa per la società civile. Ed è anche il motivo per cui siamo qui oggi: abbiamo anche voluto dare un esempio reale con la nostra presenza a questa manifestazione del modo in cui la pensiamo, della nostra vicinanza al popolo palestinese e del fatto che noi siamo attivi nella società, che non siamo persone che parlano solo di argomenti lontani dalla vita reale. La nostra esperienza e la nostra conoscenza deve essere un avvicinamento alla vita reale, che è proprio quello che i ragazzi devono capire secondo me, che studiare anche avvenimenti passato è un modo per avvicinarli al presente in un modo consapevole, in una forma consapevole, dando loro la capacità di avere gli strumenti per conoscere la realtà quotidiana nella quale vivono.”
Oneta: “Anche secondo me la scuola deve farne una responsabilità. Parlarne a scuola e all'università ancora di più quando gli studenti sono più grandi perché hanno più strumenti di lettura dell'attualità, è fondamentale. Siamo tutti cittadini coinvolti allo stesso modo e non deve passare il fatto che sia una cosa che non ci riguarda perché così lontana geograficamente da noi. Anche l'esperienza della flotilla ci ha mostrato che di fatto le distanze geografiche sono più mentali che fisiche, perché quando tu vuoi una cosa riesci ad essere vicino anche fisicamente alle persone che hanno bisogno. Secondo me tra l'altro un docente dovrebbe anche essere una figura di riferimento con il proprio esempio, per cui credo che sia fondamentale assumersi questa responsabilità.”
Neva: “Che testate giornalistiche o fonti consigliereste per informarsi al meglio?”
Parrella: “Io leggo La Repubblica normalmente. Non leggo tanto ultimamente perché guardo più internet e giornali vari. Anche Il Fatto Quotidiano secondo me dà molte fonti di conoscenza su questi argomenti.”
Oneta: “Io credo che sia necessario avere una pluralità di informazioni, quindi non escluderei a priori nessuna delle testate giornalistiche, anche perché so che i ragazzi guardano di più i social piuttosto che i quotidiani. Magari mi capita di attingere dalla Repubblica, però guardo un po' di tutto. Ovviamente quando poi ti trovi di fronte a certi titoli di certe testate giornalistiche ti chiedi se effettivamente… [...]”
Parrella: “Soprattutto quando sono offensive, perché alcuni giornali fanno proprio questo. Scrivono dei titoli che offendono chi la pensa in modo diverso da loro, e questo secondo me è veramente negativo per avere un dibattito sereno all'interno del mondo in cui viviamo. Secondo me è assurdo che venga offesa una persona che non la pensa come noi. Questa è una cosa che dico sempre ai ragazzi: ognuno la pensa in un modo diverso, dobbiamo imparare a interagire, dobbiamo imparare a riflettere in modo sano, anche perché solo in questo modo si può arrivare nuovamente ad avere dei ragazzi che votano. Perché questo è un altro problema: il fatto che i ragazzi non votino più, perché si è creata questa situazione in cui c'è un attacco continuo tra gruppi diversi. Non è un attacco, è un confronto politico che deve essere sano. Un paese sano è un paese nel quale c'è un dibattito non offensivo che non si basa sullo scontro verbale o fisico. Questo è quello che mi sento di dire proprio con coscienza.”
Intervista a una docente dell’IIS Stradivari
Neva: “Lei pensa che sia corretto e legittimo descrivere quello che sta succedendo come genocidio?”
X: “Certamente sì, perché gente viene uccisa non perché sbaglia qualcosa o per un motivo politico, ma semplicemente perché appartiene ad una certa etnia, quindi è genocidio.”
Neva: “Nella vostra scuola lei e altri docenti spendete qualche parola in merito alla situazione attuale?”
X: “Per questo siamo un po’ in difficoltà però qualche parola si spende, ma sempre con cautela. Credo che il dovere degli insegnanti sia quello di non tanto di passare contenuti precostituiti o idee già confezionate, ma quello di stimolare il dialogo e simulare l’attenzione nei confronti della realtà da parte dei ragazzi. Quindi non faccio prediche o espongo le mie teorie, ma affronto l’argomento cercando di capire se i ragazzi ne sanno qualcosa e cercando di stimolare il loro interesse in questo settore e ambito.”
Neva: “Lei pensa che sia pericoloso non parlarne a scuola e all’università? Perché?”
X: “E’ pericoloso nel senso che significa chiudere gli occhi, quindi non si può far finta di niente, bisogna sicuramente stimolare come dicevo l’attenzione e fare in modo che i ragazzi abbiano un atteggiamento di interesse nei confronti di questo tema, così come di qualsiasi tema sociale naturalmente che riguarda i diritti dell’uomo e della donna. E’ importante destare e tenere sveglia l’attenzione dei ragazzi.”
Neva: “Che testate giornalistiche o fonti consiglierebbe per informarsi al meglio?”
X: “Per quanto riguarda l’aspetto televisivo io non guardo assolutamente i telegiornali. Qualche volta guardo La7 che mi sembra che sia un pochino al di sopra delle parti, non schierata con i filoni ufficiali e canonici. Ascolto Radio 3 che offre un servizio giornalistico molto interessante al mattino con Prima Pagina, in cui fa la lettura di tutti i quotidiani. Ci sono giornalisti di tutto lo spettro costituzionale e parlamentare, quindi si ascolta di tutto, offrendo un confronto molto aperto, concentrando l’attenzione su un fatto ogni giorno con degli esperti, quindi questo è quello che io consiglio. Per quanto riguarda le testate giornalistiche, io ho perso l’abitudine di comprare il giornale tutti i giorni, sfoglio Il Fatto Quotidiano, La Repubblica e Il Corriere della Sera.”
Intervista agli studenti Laura Galletti, Carlotta Melgari e Samuele Cammi dell’Università degli Studi di Pavia, facoltà di Scienze Letterarie e dei Beni Culturali
Neva: “Pensate sia corretto e legittimo descrivere quello che sta succedendo come genocidio?”
Melgari: “Assolutamente sì e direi che è più che legittimo perché possiamo vederlo nei telegiornali, nelle notizie che ci arrivano online. I numeri penso che parlino più che chiaramente, non ci troviamo davanti a un conflitto tipico tra due eserciti, ma c'è un massacro in corso condotto da un popolo per anni verso un altro, quindi assolutamente sì.”
Galletti: “Assolutamente sì, alla fine guardando alla storia le parole evolvono. Anche se non evolvessero e noi prendessimo la definizione di genocidio per quello che è, questo dovrebbe essere considerato assolutamente un genocidio. Anche le persone che reputano che non lo sia, se si offendono quando qualcuno dice che potrebbe essere un genocidio, di base credono che già lo sia: non ci sarebbe motivo di offendersi se non lo fosse.”
Cammi: “Sì, è assolutamente legittimo perché è evidente, è assolutamente disparì la situazione e non è un conflitto. E’ proprio un popolo che si accanisce su un altro ed è anche quasi stato dichiarato palesemente senza più vergogna.”
Neva: “Nella vostra università i docenti spendono qualche parola in merito alla situazione attuale?
Melgari: “Sì, da me è stato fatto e da noi è stata molto sentita come cosa. Diversi insegnanti, soprattutto nell'ambito artistico e letterario hanno molto affrontato questa tematica. L'anno scorso io ho frequentato letteratura contemporanea ed era concentrato proprio sul tema della guerra: il nostro professore ci ha detto che ha cambiato l’argomento sulla parte monografica proprio per quello che era successo, per parlare di queste cose, perché se non ne parliamo noi che siamo in luoghi di cultura, luoghi che comunque formeranno gli uomini e le donne di domani, penso che sia assurdo non se ne parli.”
Galletti: “Nessuno di questi forse ha mai nominato la Palestina a parte la docente di storia della fotografia e storia del cinema: durante la prima lezione di fotografia abbiamo fatto un minuto di silenzio, facendo vedere delle foto di giornalisti di guerra della Palestina. Durante la prima lezione di storia del cinema, che io non sono riuscita a seguire per una sovrapposizione, ma un mio amico invece sì, mi ha detto che la docente ha fatto la prima parte della lezione ad illustrare registi palestinesi, film palestinesi e a parlare della Palestina. Mentre l'anno scorso, forse più legato alle guardie in generale, a come si è comportato questo nostro governo, ma sicuramente con il riguardo principale per la Palestina, il professore di letteratura contemporanea ha cambiato completamente il corso: la monografia, che doveva essere sulla poesia, è stata cambiata ai giovani in guerra durante la prima guerra mondiale.”
Cammi: “Sì, ne hanno parlato alcuni. Durante la lezione un po' meno, ma alcuni ci hanno fatto fare un minuto di silenzio o ne hanno comunque parlato. Non l'hanno proprio affrontato però sì, ne è stato parlato.”
Neva: “Pensate che sia pericoloso non parlarne a scuola e/o all’università? Perché?”
Melgari: “Assolutamente sì, come ho detto prima questi sono i luoghi di cultura, i luoghi in cui si trova e nasce la conoscenza ed è importante che si tratti di queste tematiche perché la cultura è tutto. Per me in generale la cultura è la storia. Noi stiamo scrivendo quella che sarà la storia di domani, quindi è fondamentale parlarne perché sono questioni già accadute in passato ed è assurdo che da queste cose non si impari mai.”
Galletti: “Sì, innanzitutto semplicemente perché è storia, è quello che sta accadendo e una delle materie che si fa a scuola, intendo al liceo e anche alla scuola media. E’ storia, quindi sarebbe ingiusto non parlarne ed essenzialmente eliminare una parte del programma che si sta vivendo adesso. Volendo anche parlare di quell'ora di religione che sappiamo alcuni professori utilizzano più per parlare dell'attualità, dovrebbe essere utilizzata per parlarne, anche perché riguarda questioni religiose. In università sarebbe criminale non farlo, specialmente in facoltà umanistiche come storia, beni culturali, letteratura, scienze politiche…
Sarebbe veramente criminale non farlo ed è un ambito di studio, non perché dobbiamo essere differenti ma perché la stiamo vivendo.”
Cammi: “Sì, è assolutamente necessario parlarne nelle scuole anche per me, soprattutto perché i bambini e i giovani di adesso sono i futuri adulti. Se non ne sono al corrente, non ne parlano, non si informano o fanno finta di niente, non cambierà mai nulla, non servirà assolutamente a niente se non se ne parla.”
Neva: “Che testate giornalistiche o fonti consigliereste per informarsi al meglio?”
Melgari: “Allora nello specifico non saprei dire, però un consiglio è sempre stare attenti alle fonti, quello è sicuramente importantissimo perché spesso mi è capitato anche di vedere in telegiornali che dovrebbero essere di Stato mostrare, per quanto riguarda la questione delle manifestazioni, solamente i momenti in cui c'è violenza, i momenti in cui i manifestanti magari reagiscono perché provocati da cordoni di carabinieri. Non fanno vedere i momenti come quello che c'è stato l'altro giorno a Milano in cui passavano tranquillamente le ambulanze durante il corteo per necessità. Dimostra che i manifestanti non sono criminali, non sono persone che vogliono andare lì per fare rissa, non vogliono andare lì per spaccare tutto, ma perché c'è una questione molto più importante da affrontare ed è vergognoso che bisogna stare attenti perfino ai telegiornali che dovrebbero essere una fonte di informazioni consona e di cui fidarsi.”
Galletti: “Nessun tipo di giornale legato a un particolare partito, questo sarebbe da evitare: quindi qualsiasi giornale politico, cosa quasi impossibile perché nessun giornalista può rimanere apolitico. Direi da quante più fonti possibili. Rimane comunque una situazione attuale, [...] sicuramente non affidarsi a niente di israeliano sarebbe ottimale. Suggerirei anche direttamente dalle persone che vanno a fare volontariato in Palestina o che cercano di arrivarci.”
Cammi: “Io per informarmi spesso guardo i profili social dei diretti interessati, ad esempio quelli delle persone che sono sulla Global Sumud Flotilla. Oppure mi informo sentendo più notizie possibili e confrontandole [...].”
Si è riscontrato intervistando anche altri studenti universitari che è molto comune che pochi insegnanti spendano parole per questo determinato tema e che sia pericoloso non parlarne nelle università (portando così una mancanza di sensibilizzazione e “dando adito a determinate entità di andare avanti a patrocinare quello che sta succedendo”).
Una studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Brera segnala, in risposta alla domanda riguardante il contributo dei professori e i loro commenti riguardo al tema: “Purtroppo sì e non sono la maggior parte delle volte commenti che abbiano un senso logico. Purtroppo fanno molto riferimento ad Hamas, al di là di quello che sta succedendo per mano di Israele. Invece molti altri partecipano attivamente attraverso sensibilizzazione, ma soprattutto nel nostro caso creare opere d’arte che abbiano questo come tema e il conflitto in generale [...]. Trattandosi di Milano è molto attiva, quindi è bello che quasi tutti siamo uniti, anche se non al 100%.”
Uno studente di Scienze Letterarie e dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Pavia suggerisce come fonti di informazione Al Jazeera o Ansa, ponendo una preferenza sulla prima perché “dà sicurezze su quello che succede davvero in Medio Oriente”.
Venerdì 3 ottobre 2025 è stata un’occasione per dimostrare che nonostante la città di Cremona non sia un luogo attivo e con uno spirito di iniziativa giovanile e studentesco come quello di altre città (ad esempio Milano, Pavia o Parma), siano presenti persone che non intendono girarsi dall’altra parte, che cercano di smuovere gli animi in un posto dove la città è morta da tempo in favore dell’indifferenza e dell’indignazione, tipica del cittadino cremonese.
E’ stato un giorno da ricordare con orgoglio, nella fede che possano riproporsi altri momenti di questo genere.
Prime quattro immagini a cura di Nicole Neva.
Ultime quattro immagini a cura di Alessandro Paolicelli.
Autore
Nicole Neva